Complicanze della trasfusione

DiRavindra Sarode, MD, The University of Texas Southwestern Medical Center
Revisionato/Rivisto feb 2022
Visualizzazione l’educazione dei pazienti

    Le complicanze più frequenti delle trasfusioni sono

    La maggior parte delle complicazioni gravi, che hanno tassi di mortalità molto elevati, sono

    Altre complicanze comprendono

    Il pronto riconoscimento di segni che suggeriscono una reazione trasfusionale e l'immediato riferimento alla banca del sangue sono fondamentali. I sintomi più frequenti sono costituiti da brividi, rigidità, febbre, dispnea, sensazione di testa vuota, orticaria, prurito e dolore lombare. Se si verifica uno di questi sintomi (diversi dall'orticaria localizzata e dal prurito), la trasfusione deve essere sospesa immediatamente e l'accesso EV mantenuto aperto con una soluzione fisiologica. La restante parte dell'emoderivato e i campioni di sangue del paziente coagulati e con anticoagulanti devono essere inviati alla banca del sangue per l'investigazione. NOTA: l'unità in questione non deve essere riutilizzata e la trasfusione di qualsiasi unità consegnata precedentemente non deve essere iniziata. Ogni altra trasfusione deve essere ritardata fino a che la causa della reazione non sia stata riconosciuta, a meno che la necessità sia urgente, nel qual caso devono essere usati globuli rossi di tipo O Rh-negativo.

    L'emolisi dei globuli rossi del donatore o del ricevente (di solito del primo) durante o dopo una trasfusione può derivare da un'incompatibilità ABO/Rh, da anticorpi plasmatici o da globuli rossi emolizzati o fragili (p. es., per sovrariscaldamento del sangue conservato o per contatto con soluzioni EV ipotoniche). L'emolisi è più frequente e più grave quando i globuli rossi del donatore incompatibili sono emolizzati da anticorpi presenti nel plasma del ricevente. Le reazioni emolitiche possono essere acute (entro 24 h) o ritardate (da 1 a 14 giorni).

    Reazioni post-trasfusionali febbrili non emolitiche

    Le reazioni febbrili possono verificarsi senza emolisi. Gli anticorpi diretti contro l'antigene leucocitario umano (HLA) dei globuli bianchi in donatori di sangue altrimenti compatibili sono una delle possibili cause. Questa causa è più frequente in pazienti politrasfusi o multipari. Le citochine rilasciate dai globuli bianchi durante la conservazione, particolarmente nei concentrati piastrinici, sono un'altra possibile causa.

    Clinicamente, le reazioni febbrili consistono in un aumento della temperatura corporea di 1° C, brividi e a volte cefalea e dolore lombare. Una simultanea sintomatologia da reazione allergica è frequente. Poiché la febbre e i brividi sono anche segni prodromici di una grave reazione emolitica trasfusionale, tutte le reazioni febbrili devono essere investigate come descritto per le reazioni post-trasfusionali acute, come per ogni reazione trasfusionale.

    La maggior parte delle reazioni febbrili viene trattata con successo con acetaminofene (paracetamolo) e, se necessario, difenidramina. I pazienti devono essere inoltre trattati (p. es., con acetaminofene [paracetamolo]) prima di future trasfusioni. Se un ricevente ha sperimentato più di una reazione febbrile, nelle trasfusioni successive bisogna usare globuli rossi filtrati per rimuovere i GB; la maggior parte degli ospedali utilizza derivati ematici depleti di globuli bianchi (globuli rossi depleti di globuli bianchi) conservati.

    Reazione emolitica acuta post-trasfusionale

    Circa 20 soggetti muoiono annualmente negli Stati Uniti come risultato di una reazione emolitica acuta post-trasfusionale. La reazione emolitica acuta post-trasfusionale è solitamente causata da anticorpi presenti nel plasma del ricevente contro gli antigeni eritrocitari del donatore. L'incompatibilità ABO è la più frequente causa di reazione emolitica acuta post-trasfusionale. Anche gli anticorpi contro gli antigeni di gruppo sanguigno diversi da quelli ABO possono causare la reazione emolitica acuta post-trasfusionale. Un'errata etichettatura del campione pretrasfusionale al momento della raccolta e la mancata identificazione del corretto ricevente immediatamente prima della trasfusione sono le cause usuali.

    L'emolisi è intravascolare, e causa emoglobinuria con vari gradi di danno renale acuto e a volte coagulazione intravascolare disseminata. La gravità della reazione emolitica post-trasfusionale acuta dipende da

    • Grado di incompatibilità

    • Quantità di sangue somministrata

    • Tasso di somministrazione

    • Integrità dei reni, fegato e cuore

    Una fase acuta di solito si sviluppa entro 1 h dall'inizio della trasfusione, ma può verificarsi tardivamente durante la trasfusione o immediatamente dopo. L'esordio è in genere acuto. Il paziente può lamentare malessere e ansia. Possono verificarsi dispnea, febbre, brividi, flushing del volto e grave dolore, specialmente nell'area lombare. Può svilupparsi uno shock, con polso debole e frequente; cute fredda e sudata; bassa pressione arteriosa; nausea e vomito. L'ittero può seguire l'emolisi acuta.

    Se la reazione emolitica acuta post-trasfusionale si presenta in corso di anestesia generale, gli unici sintomi possono essere ipotensione, emorragia irrefrenabile dalla sede dell'incisione o dalle mucose causata da una concomitante coagulazione intravascolare disseminata, oppure la comparsa di urine pigmentate a testimoniare un'emoglobinuria.

    Se si sospetta una reazione emolitica acuta post-trasfusionale, uno dei primi passi è quello di ricontrollare le etichette di identificazione sul campione e sul paziente. La diagnosi è confermata da un test dell'antiglobulina diretto positivo, dai dosaggi di emoglobina urinaria, del lattato deidrogenasi sierico, della bilirubina, e l'aptoglobina. L'emolisi intravascolare produce l'emoglobina libera nel plasma e nelle urine; i livelli di aptoglobina sono molto bassi. Può seguire l'iperbilirubinemia.

    Dopo la fase acuta, il grado di danno renale acuto determina la prognosi. La diuresi e una riduzione dell'azotemia lasciano generalmente presagire una ripresa. L'insufficienza renale permanente è rara. Una prolungata oliguria e lo shock sono segni prognostici negativi.

    Se è sospettata una reazione emolitica acuta post-trasfusionale, la trasfusione deve essere sospesa e deve essere iniziata una terapia di supporto. L'obiettivo della terapia iniziale è quello di raggiungere e mantenere un'adeguata pressione arteriosa e un buon flusso renale con soluzione fisiologica allo 0,9% e furosemide EV. La soluzione fisiologica EV viene somministrata per mantenere un flusso urinario di 100 mL/h per 24 h. La dose iniziale di furosemide è da 40 a 80 mg (da 1 a 2 mg/kg nei bambini), questa dose viene poi opportunamente modificata per mantenere il flusso urinario > 100 mL/h durante il primo giorno.

    Il trattamento farmacologico dell'ipotensione deve essere fatto con cautela. I farmaci pressori che riducono il flusso ematico renale (p. es., adrenalina, noradrenalina, dopamina ad alte dosi) sono controindicati. Se si rende necessario l'utilizzo di un farmaco vasopressore, dopamina da 2 a 5 mcg/kg/min è la scelta più comune.

    Un nefrologo deve essere consultato il più tempestivamente possibile, in particolare se non si ottiene alcuna risposta alla somministrazione di diuretici nelle 2-3 h successive all'inizio della terapia, il che può indicare necrosi tubulare acuta. Ulteriori terapie liquide e diuretiche possono essere controindicate, e una precoce dialisi può essere di aiuto.

    Malattia del trapianto contro l'ospite

    La malattia del trapianto contro l'ospite associata a trasfusione (vedi anche Rigetto di trapianto e malattia del trapianto contro l'ospite) è in genere causata da trasfusioni di prodotti contenenti linfociti immunocompetenti a un soggetto immunocompromesso. I linfociti del donatore attaccano i tessuti dell'ospite perché il sistema immunitario ospite non può distruggere i linfociti del donatore. La malattia del trapianto contro l'ospite può verificarsi occasionalmente in pazienti immunocompetenti se essi hanno ricevuto sangue da un donatore (generalmente un parente stretto) omozigote per l'aplotipo HLA per il quale sono eterozigoti.

    La sintomatologia comprende febbre, rash cutanei (rash che si diffonde in maniera centrifuga e che si trasforma in eritrodermia con bolle), nausea, diarrea acquosa con sangue, linfoadenopatia e pancitopenia dovuta ad aplasia del midollo osseo. Sono frequenti anche l'ittero e livelli elevati di enzimi epatici. La malattia del trapianto contro l'ospite si presenta da 4 a 30 giorni dopo la trasfusione ed è diagnosticata sulla base del sospetto clinico e di biopsie cutanee e del midollo osseo. La malattia del trapianto contro l'ospite ha > 90% di mortalità perché non esiste alcuna terapia specifica.

    La prevenzione della malattia del trapianto contro l'ospite (graft-versus-host disease, GVHD) si ottiene mediante irradiazione (al fine di danneggiare il DNA dei linfociti del donatore) di tutti gli emoderivati trasfusi. Viene effettuata

    • Se il ricevente è immunocompromesso (p. es., pazienti affetti da sindrome da immunodeficienza congenita, tumori ematologici, trapianto di cellule staminali emopoietiche, neonati)

    • Se il sangue del donatore viene ottenuto da un parente di 1o grado

    • Quando i componenti HLA-corrispondenti, escludendo le cellule staminali, vengono trasfusi

    Il trattamento con corticosteroidi e altri immunosoppressori, compresi quelli usati per il trapianto di organi, non è un'indicazione all'irradiazione ematica.

    Sovraccarico circolatorio associato a trasfusione

    Anche se il sovraccarico circolatorio associato a trasfusione è sottodiagnosticato e sottostimato, è stata riconosciuto come la causa più comune di decessi in seguito a trasfusione riportati dall'FDA (Food and Drug Administration) (1). L'alto carico osmotico degli emoderivati sposta il volume nello spazio intravascolare nel corso di ore e può causare un sovraccarico circolatorio associato a trasfusione in pazienti predisposti (p. es., pazienti con insufficienza cardiaca o renale). I globuli rossi devono essere infusi lentamente. Il paziente deve essere osservato e, qualora si presentino segni di insufficienza cardiaca (p. es., dispnea, rantoli), la trasfusione deve essere sospesa e va iniziato il trattamento per l'insufficienza cardiaca.

    Il trattamento tipico è quello con diuretici quali la furosemide da 20 a 40 mg EV. Occasionalmente, ai pazienti che necessitano di un volume maggiore di plasma per antagonizzare un sovradosaggio di warfarin può essere contemporaneamente somministrata una piccola dose di furosemide; tuttavia, il concentrato di complesso protrombinico è la prima scelta per questi pazienti. I pazienti ad alto rischio di sovraccarico circolatorio associato a trasfusione (p. es., quelli con scompenso cardiaco o grave insufficienza renale) sono sottoposti a scopo profilattico a un diuretico (p. es., furosemide da 20 a 40 mg EV).

    Lesione polmonare acuta associata a trasfusione

    Una lesione acuta polmonare legata alla trasfusione rappresenta un'insolita complicanza causata da anticorpi anti-HLA e/o antigranulociti nel plasma del donatore che agglutinano e degranulano i granulociti del ricevente nel polmone. Si sviluppano sintomi respiratori acuti, e una RX torace presenta un quadro caratteristico di edema polmonare non cardiogenico. Questa complicanza è la seconda causa più frequente di morte correlata a trasfusione. L'incidenza varia da 1 caso ogni 5000 a 1 ogni 10 000 trasfusioni, però molti casi sono di lieve entità. Una lesione polmonare acuta di entità leggera o moderata associata a trasfusione è probabilmente in genere misconosciuta. Una terapia di supporto generale porta tipicamente alla guarigione senza sequele permanenti. Bisogna evitare i diuretici. Utilizzando il sangue donato dagli uomini si riduce il rischio di questa reazione. I casi devono essere segnalati al servizio di medicina trasfusionale ospedaliero o alla banca del sangue.

    Reazioni allergiche

    Sono frequenti le reazioni allergiche del paziente verso un componente ignoto del sangue del donatore, di solito dovute ad allergeni presenti nel plasma del donatore o, meno spesso, ad anticorpi provenienti da un donatore allergico. Queste reazioni si manifestano in genere con una sintomatologia modesta e includono orticaria, edema, a volte vertigine e cefalea, durante o subito dopo la trasfusione. La febbre simultanea è frequente. Sintomi meno frequenti sono la dispnea, il respiro sibilante e l'incontinenza da spasmo generalizzato della muscolatura liscia. L'anafilassi si verifica di rado, soprattutto nei riceventi con carenza da IgA.

    In un paziente con un'anamnesi positiva per allergie o con un precedente episodio di reazione trasfusionale allergica può essere somministrato un antistaminico a scopo profilattico appena prima o all'inizio della trasfusione (p. es., difenidramina 50 mg per via orale oppure EV). NOTA: i farmaci non devono mai essere diluiti con il sangue.

    Se si manifesta una reazione allergica, bisogna sospendere la trasfusione. Un antistaminico (p. es., difenidramina, 50 mg EV) controlla di norma i casi di urticaria e prurito moderati e la trasfusione può essere ripresa. Tuttavia, una moderata reazione allergica (orticaria generalizzata o broncospasmo lieve) necessita anche di idrocortisone (da 100 a 200 mg EV), e una grave reazione anafilattica richiede ulteriori interventi con adrenalina 0,5 mL diluita in soluzione 1:1000 sottocute e soluzione fisiologica allo 0,9% EV con successiva indagine da parte della banca del sangue. Non deve essere effettuata un'ulteriore trasfusione prima che l'indagine sia completata.

    Pazienti con grave deficit di IgA richiedono trasfusioni di globuli rossi lavati, piastrine lavate e plasma da un donatore IgA-deficiente.

    Alterata affinità per l'ossigeno

    Il sangue conservato per > 7giorni ha una concentrazione ridotta nei globuli rossi di 2,3-difosfoglicerato, e il 2,3-difosfoglicerato è assente dopo > 10 giorni. Questa assenza si traduce in un'aumentata affinità per l'ossigeno e un più lento rilascio di ossigeno ai tessuti. C'è scarsa evidenza che la carenza di 2,3-difosfoglicerato sia clinicamente significativa eccetto che nelle exanguinotrasfusioni nei neonati, in pazienti affetti da anemia falciforme che presentano sindrome toracica acuta o ictus e in alcuni pazienti con grave insufficienza cardiaca. Dopo la trasfusione di globuli rossi, il 2,3-difosfoglicerato si rigenera entro 12-24 h.

    Reazione emolitica post-trasfusionale tardiva

    Occasionalmente, un paziente che si è sensibilizzato a un antigene eritrocitario ha livelli di anticorpi molto bassi e test pretrasfusionali negativi. Dopo aver ricevuto una trasfusione con globuli rossi che esprimono questo antigene, può manifestarsi una risposta primaria o anamnestica (di solito in 1-4 settimane) in grado di provocare una reazione emolitica trasfusionale tardiva. Una reazione emolitica trasfusionale tardiva di solito non si manifesta marcatamente come la reazione emolitica acuta post-trasfusionale. I pazienti possono essere asintomatici o avere una febbre leggera. Raramente compaiono sintomi gravi (p. es., febbricola, ittero). Usualmente, si verifica solo la distruzione dei globuli rossi trasfusi (con l'antigene) che causa una caduta dell'ematocrito e un lieve aumento della lattato deidrogenasi e della bilirubina e un test dell'antiglobulina diretto positivo. Poiché la reazione emolitica trasfusionale tardiva è di solito lieve e autolimitante, spesso è misconosciuta e la caratteristica clinica può essere rappresentata da un'inspiegabile caduta dell'Hb ai livelli pretrasfusionali e che si manifesta 1-2 settimane dopo la trasfusione. Le reazioni gravi vengono trattate in modo simile alle reazioni acute.

    Complicanze infettive

    La contaminazione batterica di concentrati di globuli rossi può verificarsi raramente, per una possibile mancanza di sterilità durante la raccolta o per una transitoria batteriemia del donatore. La refrigerazione dei globuli rossi di solito limita la crescita batterica tranne che per i microrganismi criofili quali la Yersinia, che può produrre livelli dannosi di endotossina.

    Tutte le unità di globuli rossi sono ispezionate al fine di erogare un'eventuale crescita batterica, evidenziata da un cambiamento cromatico. Poiché i concentrati piastrinici sono conservati a temperatura ambiente, essi presentano un maggiore rischio potenziale di crescita batterica e di produzione di endotossina, se contaminati. Per minimizzare la crescita, la conservazione è limitata a 5 giorni. Il rischio di contaminazione batterica delle piastrine è 1:2500. Quindi, le piastrine vengono testate routinariamente per i batteri.

    Raramente, la sifilide è trasmessa nel sangue fresco o nelle piastrine. La conservazione del sangue per 96 h a 4-10° C uccide la spirocheta. Sebbene le regole federali richiedano un test sierologico per la sifilide sul sangue del donatore, i donatori infetti sono sieronegativi nelle prime fasi di malattia. I riceventi di unità infette possono sviluppare il caratteristico rash secondario.

    L'epatite può manifestarsi dopo la trasfusione di qualsiasi emoderivato. Il rischio è stato ridotto dall'inattivazione virale attraverso il trattamento con calore dell'albumina sierica e delle proteine plasmatiche e dall'utilizzo di concentrati di fattore ricombinante. Gli esami di laboratorio per l'epatite sono obbligatori per tutti i donatori di sangue (vedi tabella Test per le malattie infettive trasmissibili). Il rischio stimato di epatite B è 1:1 milione; di epatite C, < 1:2 milioni. Poiché la sua fase viremica transitoria e la concomitante malattia clinica precludono con buona probabilità la donazione di sangue, l'epatite A (epatite infettiva) non è una significativa causa di epatite associata alle trasfusioni.

    L'infezione da HIV negli Stati Uniti è quasi interamente HIV-1, sebbene sia presente anche l'HIV-2. Sono necessari i test per la rivelazione degli anticorpi contro entrambe le linee. I test degli acidi nucleici per l'antigene dell'HIV-1 e dell'HIV-1 p24 sono anch'essi necessari. Inoltre, ai donatori si richiedono informazioni circa i comportamenti ad alto rischio per l'infezione da HIV. L'HIV-0 non è stato identificato tra i donatori di sangue. Il rischio stimato di trasmissione dell'HIV dovuto alla trasfusione è 1:1 500 000 a 2 000 000.

    Il cytomegalovirus può essere trasmesso attraverso i globuli bianchi del sangue trasfuso. Esso non è trasmesso con il plasma fresco congelato. Poiché il cytomegalovirus non causa malattia nei riceventi immunocompetenti, non è necessario il test per la presenza di anticorpi anti-cytomegalovirus del sangue del donatore. Tuttavia, il cytomegalovirus può causare una malattia grave o fatale nei pazienti immunocompromessi, che devono ricevere prodotti ematici che sono negativi al cytomegalovirus tramite test anticorpali o con sangue impoverito dei globuli bianchi mediante filtrazione.

    L'HTLV-1, che può causare linfoma/leucemia a cellule T dell'adulto e la mielopatia associata a linfoma/leucemia a cellule T dell'adulto/paraparesi spastica tropicale, causa una sieroconversione post-trasfusionale in alcuni riceventi. Tutto il sangue dei donatori è testato per gli anticorpi contro l'HTLV-1 e l'HTLV-2. Il rischio stimato di risultati falsi negativi nel testare il sangue dei donatori è uguale a 1:641 000.

    Non è mai stata riportata nessuna trasmissione post-trasfusionale della malattia di Creutzfeldt-Jakob, ma la pratica attuale preclude la donazione da una persona che abbia ricevuto l'ormone della crescita di origine umana o un trapianto di dura madre o che abbia un membro della famiglia con la malattia di Creutzfeldt-Jakob. La variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (o malattia della mucca pazza) non è mai stata trasmessa tramite trasfusione di sangue. Tuttavia, donatori che hanno trascorso un tempo prolungato nel Regno Unito e in altre parti d'Europa potrebbero essere esclusi permanentemente dalla donazione (vedi tabella Alcune cause di rinvio temporaneo o permanente per la donazione di sangue).

    La malaria viene facilmente trasmessa attraverso globuli rossi infetti. Molti donatori sono inconsapevoli di avere la malaria, alcune varietà di questa malattia possono infatti rimanere latenti ed essere trasmesse a distanza di 10-15 anni. La conservazione non rende affatto più sicuro il sangue. Bisogna chiedere a tutti i candidati alla donazione del sangue se hanno mai sofferto di malaria o se hanno vissuto in zone dove l'affezione è endemica. Vengono sospesi per 3 anni tutti i donatori che hanno avuto la malaria, o che sono immigrati, o cittadini provenienti da paesi nei quali la malaria è considerata endemica; i viaggiatori verso zone endemiche sono rinviati di 1 anno.

    La babesiosi, il morbo di Chagas, e la febbre del West Nile sono state raramente trasmesse tramite trasfusione.

    È stato riportato in Brasile che l'infezione da virus Zika può essere trasmessa tramite prodotti sanguigni. Pertanto, l'FDA (Food and Drug Administration) ha reso obbligatorio il test del virus Zika negli Stati Uniti e nei suoi territori. Al posto del test Zika, possono essere utilizzate anche approvate tecnologie di riduzione degli agenti patogeni per piastrine e plasma; tuttavia, il loro utilizzo è attualmente molto limitato e questa tecnologia non è ancora disponibile per i globuli rossi.

    Porpora post-trasfusionale

    La porpora post-trasfusionale è una complicanza molto rara in cui la conta piastrinica diminuisce rapidamente da 4 a 14 giorni dopo una trasfusione di globuli rossi, causando una trombocitopenia da moderata a grave. Quasi tutti i pazienti sono donne multipare che in genere hanno ricevuto trasfusioni di globuli rossi durante una procedura chirurgica. L'esatta eziologia non è chiara. Tuttavia, l'ipotesi più accettata è che un paziente che è negativo per l'antigene piastrinico umano 1a sviluppi alloanticorpi a causa dell'esposizione all'antigene HPA1a di origine fetale durante la gravidanza. Poiché i globuli rossi immagazzinati contengono microparticelle piastriniche e poiché la maggior parte (99%) dei donatori è HPA1a positiva, le microparticelle di piastrine provenienti dal sangue del donatore possono scatenare una risposta anticorpale in pazienti precedentemente sensibilizzati (risposta anamnestica). Poiché queste microparticelle piastriniche si attaccano alle piastrine del ricevente (e quindi le ricoprono con l'antigene HPA1a), gli alloanticorpi distruggono le piastrine del ricevente, causando trombocitopenia. La malattia si risolve spontaneamente quando le piastrine rivestite con l'antigene vengono distrutte.

    I pazienti sviluppano porpora e sanguinamento da moderato a grave, di solito dal sito chirurgico. Le trasfusioni di piastrine e globuli rossi peggiorano la condizione.

    La diagnosi differenziale di solito comprende la trombocitopenia indotta da eparina, anche se la trombocitopenia indotta da eparina non è associata a sanguinamento. La diagnosi viene effettuata documentando gli anticorpi HPA1a nel plasma del paziente e l'assenza di antigene corrispondente sulle piastrine del paziente.

    Il trattamento è costituito da immunoglobuline EV ad alte dosi (da 1 a 2 g/kg come singola dose o divisi in 2 dosi) ed evita ulteriori trasfusioni di piastrine o globuli rossi. La plasmaferesi può essere presa in considerazione nei casi gravi e, per i pazienti con sanguinamento massivo, le piastrine di donatori HPA1a-negativi possono essere trasfuse se disponibili.

    Complicanze della trasfusione massiva

    La trasfusione massiva è una trasfusione di un volume di sangue maggiore o uguale a un volume di sangue nelle 24 h (p. es., 10 unità in un adulto di 70 kg). Quando un paziente riceve l'infusione di emazie concentrate durante procedure di rianimazione standard (colloidi) più cristalloidi (Ringer lattato o soluzione fisiologica) in così grandi quantità, i fattori di coagulazione del plasma e le piastrine sono diluiti, provocando una coagulopatia (coagulopatia da diluizione). Questa coagulopatia peggiora la coagulopatia da consumo dovuta al grave trauma (ossia, quale risultato di un'ampia attivazione della cascata coagulativa) e porta a una triade letale di acidosi, ipotermia, e sanguinamento.

    Sono stati sviluppati protocolli per la trasfusione di quantità massicce in cui plasma fresco congelato e piastrine sono trasfusi durante la rianimazione prima che la coagulopatia si sviluppi, piuttosto che cercare di "recuperare" una volta che il processo si è instaurato. Tali protocolli hanno dimostrato di ridurre la mortalità, anche se le effettive quantità ideali di globuli rossi, plasma e piastrine da usare sono ancora in fase di sviluppo. Uno studio non ha mostrato differenze significative di mortalità tra la somministrazione di una unità di plasma e un concentrato piastrinico per ciascuna delle 2 unità di globuli rossi (1:1:2) rispetto a una unità di plasma e un concentrato piastrinico per ogni unità di globuli rossi (1:1:1 [2]).

    L'ipotermia dovuta alla rapida trasfusione di larghe quantità di sangue freddo può causare aritmie o arresto cardiaco. L'ipotermia è evitata usando un EV con un dispositivo termico che riscalda delicatamente il sangue. Altri mezzi per riscaldare il sangue (p. es., forni a microonde) sono controindicati a causa del possibile danneggiamento dei globuli rossi e della possibile emolisi.

    Sia la tossicità da citrato che da potassio non sono generalmente preoccupanti anche in caso di trasfusioni massive; tuttavia, le tossicità da parte di entrambi possono essere amplificate in presenza di ipotermia. I pazienti con insufficienza epatica possono avere difficoltà nel metabolizzare il citrato. L'ipocalcemia può avvenire ma raramente richiede un trattamento (10 mL di soluzione di calcio gluconato al 10% diluito in 100 mL di D5W per via EV, somministrati in 10 min). I pazienti con insufficienza renale possono avere elevati livelli di potassio se trasfusi con sangue conservato per > 1 settimana (l'accumulo di potassio è generalmente insignificante nel sangue conservato per < 1 settimana). L'emolisi meccanica durante la trasfusione può far elevare i valori di potassio. L'ipokaliemia può verificarsi circa 24 h dopo la trasfusione di globuli rossi vecchi (> 3 settimane), che accumulano il potassio.

    Riferimenti generali

    1. 1. FDA: Fatalities reported to FDA following blood collection and transfusion: Annual Summary for Fiscal Year 2018. Silver Spring, MD, US Food and Drug Administration, 2018.

    2. 2. Holcomb JB, Tilley BC, Baraniuk S, et al: Transfusion of plasma, platelets, and red blood cells in a 1:1:1 vs a 1:1:2 ratio and mortality in patients with severe trauma: the PROPPR randomized clinical trial. JAMA 313(5):471–482, 2015. doi:10.1001/jama.2015.12

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