Panoramica sulla coronaropatia

DiRanya N. Sweis, MD, MS, Northwestern University Feinberg School of Medicine;
Arif Jivan, MD, PhD, Northwestern University Feinberg School of Medicine
Revisionato/Rivisto feb 2024
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I fatti in Breve

La coronaropatia è una sindrome che implica una parziale o completa ostruzione dell’afflusso sanguigno al muscolo cardiaco.

Il muscolo cardiaco necessita di un costante apporto di sangue ricco di ossigeno. A garantire questa necessaria quota ematica sono le arterie coronarie, che si ramificano dall’aorta alla sua uscita dal cuore. La coronaropatia che restringe una o più delle suddette arterie può ostruire il flusso sanguigno, dando luogo a dolore toracico (angina) o attacco cardiaco (detto anche infarto miocardico o IM).

Nei Paesi ad alto reddito la coronaropatia è la causa principale di decesso, sia nella popolazione maschile sia in quella femminile, e rappresenta circa un terzo di tutti i decessi. La coronaropatia, e più precisamente l’aterosclerosi coronarica (letteralmente “indurimento delle arterie”), comporta un accumulo di depositi di grassi nelle pareti arteriose che può progredire provocando il restringimento e persino l’ostruzione del flusso di sangue nell’arteria. Il tasso di decessi aumenta con l’età e, nel complesso, è più elevato negli uomini rispetto alle donne, specialmente nella fascia di età tra i 35 e i 55 anni. Dopo i 55 anni, il tasso di mortalità si riduce negli uomini, mentre nelle donne continua ad aumentare. Passati i 70-75 anni, il tasso di mortalità nelle donne è simile a quello degli uomini della stessa età.

Apporto di sangue al cuore

Come qualunque altro tessuto dell’organismo, il muscolo cardiaco deve ricevere sangue ricco di ossigeno ed eliminare i prodotti di scarto nel sangue. L’arteria coronaria destra e l’arteria coronaria sinistra, che originano dall’aorta subito dopo che questa lascia il cuore, forniscono sangue ricco di ossigeno al muscolo cardiaco. L’arteria coronaria destra si divide nell’arteria marginale e nell’arteria interventricolare posteriore, localizzata sulla superficie posteriore del cuore. L’arteria coronaria sinistra (comunemente nota come arteria coronaria principale sinistra) si divide nell’arteria circonflessa e nell’arteria discendente anteriore. Le vene cardiache raccolgono il sangue contenente i prodotti di scarto dal muscolo cardiaco e lo svuotano in una grande vena sulla superficie posteriore del cuore chiamata seno coronarico, che riporta il sangue all’atrio destro.

Cause della coronaropatia

La coronaropatia è quasi sempre dovuta all’accumulo del colesterolo e degli altri grassi (ateromi o placche aterosclerotiche) sulle pareti di un’arteria coronarica. Questo processo prende il nome di aterosclerosi e può interessare molte arterie, non solo le coronarie.

Il motivo più comune di riduzione anomala dell’afflusso di sangue al cuore è

  • Aterosclerosi

Altre cause di riduzione anomala dell’afflusso di sangue al cuore includono

  • Spasmo di un’arteria coronaria, che può insorgere spontaneamente o originare dall’assunzione di certe sostanze come cocaina e nicotina

  • Disfunzione endoteliale, ovvero un vaso coronarico non si dilata in risposta a una necessità di maggiore afflusso di sangue (come durante lo sforzo fisico), causando un apporto di sangue inferiore al fabbisogno cardiaco

  • Difetti congeniti (per esempio, anomalie delle arterie coronarie)

  • Dissezione di arteria coronaria (una lacerazione del rivestimento di un’arteria coronaria)

  • Lupus eritematoso sistemico (lupus)

  • Infiammazione delle arterie (arterite)

  • Un coagulo di sangue che da una camera cardiaca è penetrato in una delle arterie coronarie

  • Danno fisico (a causa di un trauma o di radioterapia)

La crescita dell’ateroma ne può determinare la sporgenza nella parete arteriosa con riduzione dello spazio interno (lume) dell’arteria e con parziale ostruzione del flusso ematico. Con il passare del tempo, si costituiscono depositi di calcio all’interno dell’ateroma. Via via che l’ateroma ostruisce sempre più l’arteria coronaria, l’apporto di sangue ossigenato al muscolo cardiaco (miocardio) può diventare insufficiente. L’irrorazione sanguigna è associata a una maggiore probabilità di insufficienza in condizioni di sforzo, quando il muscolo cardiaco richiede una maggiore quantità di sangue. Un inadeguato apporto ematico al muscolo cardiaco (dovuto a qualsiasi causa) viene definito ischemia miocardica. Se il cuore non riceve sangue in quantità sufficiente, non può più contrarsi e pompare sangue normalmente.

L’ateroma, anche se il grado di ostruzione del flusso sanguigno non è elevato, può rompersi bruscamente. La rottura di un ateroma causa la formazione di un coagulo di sangue (trombo). Il coagulo restringe ulteriormente o ostruisce totalmente l’arteria, dando luogo a un’ischemia miocardica acuta. Le conseguenze di questa ischemia acuta sono racchiuse nella definizione sindromi coronariche acute. Queste sindromi comprendono angina instabile e due tipi di attacco cardiaco, in base alla sede e al grado di ostruzione. Nell’attacco cardiaco, l’area del muscolo cardiaco irrorata dall’arteria ostruita muore (il cosiddetto infarto miocardico).

Fattori di rischio di coronaropatia

Alcuni fattori che influenzano lo sviluppo di una coronaropatia non sono modificabili. Tra questi troviamo:

  • Avanzare dell’età

  • Sesso maschile

  • Anamnesi familiare di coronaropatia precoce (cioè un parente prossimo che ha sviluppato la malattia prima dei 55 anni nel caso degli uomini o dei 65 anni nel caso delle donne)

Altri fattori di rischio per coronaropatia possono essere modificati o trattati. Questi fattori comprendono:

  • Alti livelli ematici di colesterolo veicolato dalle lipoproteine a bassa densità (low-density lipoprotein, LDL) (vedere Dislipidemia)

  • Alti livelli ematici di lipoproteina a

  • Bassi livelli ematici di colesterolo veicolato da lipoproteine ad alta densità (high-density lipoprotein, HDL)

  • Diabete mellito

  • Fumo

  • ipertensione arteriosa

  • Obesità

  • Inattività fisica

  • Fattori dietetici

  • Alti livelli ematici di proteina C-reattiva (CRP)

Il fumo aumenta di più del doppio il rischio di coronaropatia e di attacco cardiaco. Anche il fumo passivo sembra aumentare il rischio.

Il rischio aumenta anche a causa di una dieta a basso contenuto di fibre, vitamine C, D ed E e fitochimici (come quelli presenti nella frutta e nella verdura che sono ritenuti benefici per la salute). In alcuni soggetti, una dieta povera di oli di pesce (acidi grassi polinsaturi omega-3) aumenta il rischio.

Sono fattori di rischio anche alcuni disturbi metabolici, come l’ipotiroidismo, l’iperomocisteinemia (un livello molto alto dell’aminoacido omocisteina nel sangue) e un alto livello di apolipoproteina B (apo B), che svolge un ruolo importante nel modo in cui l’organismo gestisce i lipidi.

Non è noto se l’infezione da certi organismi contribuisca allo sviluppo di coronaropatia.

Trattamento delle coronaropatie

Nei soggetti affetti da coronaropatia, l’approccio terapeutico si basa su tre strategie. Le strategie sono volte a:

  • Ridurre il carico di lavoro del cuore

  • Migliorare il flusso sanguigno nelle arterie coronarie

  • Rallentare o indurre una regressione del processo aterosclerotico

Il carico di lavoro del cuore può essere ridotto tenendo sotto controllo la pressione arteriosa e assumendo certi farmaci, come beta-bloccanti o calcio-antagonisti, che impediscono al cuore di pompare con troppa forza (vedere Farmaci per il trattamento della coronaropatia).

Il flusso ematico attraverso le arterie coronarie può essere migliorato con farmaci che promuovono il rilassamento delle coronarie (come nitrati, calcio-antagonisti e ranolazina), mediante l’allargamento fisico delle arterie stenotiche (con un intervento coronarico percutaneo [ICP]) oppure bypassando le ostruzioni (con un intervento di bypass di arteria coronarica [coronary artery bypass grafting, CABG]). Un trombo coronarico può talvolta essere disgregato con farmaci (vedere Sblocco delle arterie).

Modificando la dieta, praticando attività fisica e assumendo certi farmaci, è possibile favorire una regressione dell’aterosclerosi. Queste misure sono analoghe a quelle utilizzate per la prevenzione dell'aterosclerosi.

Intervento coronarico percutaneo

L’intervento coronarico percutaneo o ICP (detto anche angioplastica coronarica transluminale percutanea, [percutaneous transluminal coronary angioplasty, PTCA]) viene utilizzato per i soggetti con una sindrome coronarica acuta (acute coronary syndrome, ACS) o per alcuni soggetti con angina non sufficientemente controllata dai farmaci.

Nell’ICP i medici inseriscono un ago in un’arteria del polso (arteria radiale) o nell’arteria principale della coscia (arteria femorale). Successivamente, una lunga guida metallica viene introdotta nell’ago per raggiungere, attraverso l’aorta, la coronaria stenotica. Si introduce sulla guida metallica un catetere con un palloncino sulla punta, che viene spinto fino all’arteria malata. Si posiziona il catetere in modo che il palloncino si trovi a livello della stenosi. Il palloncino viene quindi gonfiato per alcuni secondi. Il palloncino gonfiato allarga l’arteria e comprime l’ateroma, ovvero il restringimento del vaso, dilatando l’arteria. L’azione di gonfiaggio e sgonfiaggio può essere ripetuta più volte.

Per mantenere l’arteria dilatata, vi si introduce in genere un tubicino costituito da filo metallico o da una rete di fili (stent). Nella maggioranza dei casi si utilizzano stent rivestiti con un farmaco (detti stent a rilascio di farmaco), che viene rilasciato lentamente per aiutare a prevenire una nuova ostruzione dell’arteria coronaria, un problema comune nel caso degli stent non rivestiti (detti stent metallici nudi). Tuttavia, anche se gli stent a rilascio di farmaco sono molto utili per mantenere la pervietà dell’arteria, i pazienti con questo tipo di stent presentano un rischio lievemente più alto di sviluppare trombi nello stent rispetto ai pazienti con uno stent metallico nudo. Per ridurre il rischio di formazione di trombi, i pazienti con stent assumono aspirina più un altro farmaco antipiastrinico (farmaci che impediscono alle piastrine di aggregarsi per formare coaguli) per almeno 3-12 mesi dopo l’impianto dello stent. Spesso la terapia antipiastrinica viene avviata prima dell’impianto dello stent. Se l’arteria si ostruisce nuovamente a causa della formazione di un coagulo o per altre cause, è possibile sottoporre il paziente a un secondo ICP.

In molti soggetti l’ICP viene preferito all’intervento di bypass aorto-coronarico (CABG), perché è meno invasivo e il periodo di recupero è più breve. Tuttavia, è possibile che l’area coronarica interessata non sia adatta all’esecuzione di ICP per la sede, la lunghezza, la quota di calcio presente o altri fattori. Inoltre, i soggetti con varie aree stenotiche o altre condizioni possono sopravvivere più a lungo dopo un intervento di CABG piuttosto che di ICP. Pertanto i medici stabiliscono accuratamente se un soggetto sia candidato o meno a tale procedura.

Capire l’intervento coronarico percutaneo (ICP)

Il medico inserisce un catetere a palloncino in una grande arteria (talvolta l’arteria femorale, ma più comunemente l’arteria radiale nel polso) e lo fa passare lungo le arterie collegate e l’aorta fino ad arrivare all’arteria coronaria ristretta o ostruita. In seguito gonfia il palloncino per schiacciare l’ateroma contro la parete arteriosa e aprire così l’arteria. Spesso, un dispositivo tubolare, schiacciato, composto da maglie metalliche (stent), viene posizionato sul palloncino sgonfio all’estremità del catetere e inserito con esso. Quando il catetere raggiunge l’ateroma, il pallone viene gonfiato e lo stent viene aperto. Successivamente il catetere a palloncino viene rimosso e lo stent viene lasciato in sede per mantenere l’arteria aperta.

Il paziente è generalmente sveglio durante la procedura, ma i medici possono somministrare un farmaco che lo aiuti a rilassarsi. In corso di intervento il soggetto viene attentamente monitorato, perché il gonfiaggio del palloncino arresta temporaneamente il flusso ematico nell’arteria interessata. In alcuni casi, tale ostruzione può causare dolore toracico e alterazioni dell’attività elettrica cardiaca (rilevabili all’ECG).

Innesto di bypass di arteria coronaria

L’innesto di bypass di arteria coronaria (CABG) è detto anche intervento di bypass o intervento di bypass di arteria coronaria. In questa procedura, si preleva un’arteria o una vena da un’altra sede del corpo per mettere l’aorta (la maggiore arteria che preleva il sangue dal cuore per portarlo nel resto del corpo) in connessione con un’arteria oltre il punto di ostruzione. In tal modo si ripristina il flusso sanguigno “saltando” (bypassando) l’area ristretta o ostruita. Le vene vengono solitamente prelevate da un arto inferiore. Le arterie vengono prelevate dalla regione sottomammaria (sterno) o dall’avambraccio. Gli innesti arteriosi raramente sviluppano coronaropatia e più del 97% di essi continua a funzionare correttamente dopo 10 anni dall’intervento di bypass. Tuttavia, gli impianti venosi possono gradualmente diventare stenotici a causa di un ateroma. Dopo 1 anno circa, il 15% è completamente ostruito, dopo 5 anni può esserlo almeno un terzo.

L’intervento richiede diverse ore, in base al numero dei vasi da innestare. Un indicatore numerico (per esempio, triplo o quadruplo) prima dell’intervento si riferisce al numero (per esempio, 3 o 4) di arterie bypassate. Si opera in anestesia generale, effettuando un’incisione al centro del torace, dal collo fino allo stomaco, e si seziona lo sterno. Questo tipo di chirurgia viene chiamata intervento a cuore aperto. Talvolta vengono utilizzate apparecchiature speciali che consentono l'uso di incisioni più piccole che evitano la rottura dello sterno.

Spesso, il cuore viene fermato, in modo che resti immobile e renda più agevole l’intervento. Si utilizza una macchina cuore-polmoni per immettere ossigeno nel sangue e pompare il sangue nel torrente ematico. Se sono necessari solo uno o due bypass, è possibile operare senza arrestare il cuore. Questa procedura prende il nome di procedura di bypass off-pump o a cuore battente. In genere, la degenza dura circa 5 giorni, solitamente anche meno se non è stata utilizzata la macchina cuore-polmoni durante l’intervento. I risultati a lungo termine, tuttavia, sono gli stessi per entrambe le procedure.

I rischi associati all’intervento comprendono ictus e attacco cardiaco. Per i pazienti con cuore di dimensioni e funzionalità nella norma, mai colpiti da attacco cardiaco e senza fattori di rischio aggiuntivi, il rischio è inferiore al 5% per attacco cardiaco durante l’intervento, dell’1-2% per ictus e inferiore all’1% per decesso. Il rischio associato all’intervento è lievemente più elevato in caso di ridotta funzione di pompaggio del cuore (scarsa funzionalità ventricolare sinistra), di danno del muscolo cardiaco da pregresso attacco cardiaco o di altri problemi cardiovascolari. Tuttavia, se si supera l’intervento, l’aspettativa di vita a lungo termine migliora.

Alcuni pazienti sviluppano alterazioni della funzione cognitiva o comportamentali dopo una procedura di CABG. Le alterazioni possono essere lievi o molto gravi e durare settimane o anni. La popolazione anziana è quella maggiormente a rischio. Il rischio può ridursi se l’intervento non prevede l’uso della macchina cuore-polmoni.

Altre tecniche

Con un intervento chirurgico di bypass minimamente invasivo (a volte questo tipo di chirurgia è detto procedura keyhole [buco della serratura]) le incisioni toraciche possono essere di dimensioni molto inferiori.

Alcune tecniche minimamente invasive fanno uso di robotica. L’intervento viene eseguito con il chirurgo seduto davanti a un computer che utilizza braccia robotiche delle dimensioni di matite per eseguire l’intervento. Le braccia sono collegate a strumenti chirurgici adeguatamente progettati, in grado di compiere movimenti complessi, simili a quelli delle mani del chirurgo. Il chirurgo segue l’intervento attraverso un monitor, osservando un’immagine tridimensionale ingrandita. L’operazione richiede tre incisioni di 2,5 cm, una per ciascuna delle braccia robotiche e una per la telecamera che viene collegata al monitor. In questo modo si elimina la necessità di aprire lo sterno del paziente. La durata dell’intervento e la degenza ospedaliera sono generalmente più brevi di quelle di un intervento a cuore aperto.

Innesto di bypass di arteria coronaria

L’innesto di bypass di arteria coronaria consiste nel connettere un’arteria o un segmento di una vena a un’arteria coronaria, in modo tale che il sangue abbia una via alternativa dall’aorta al muscolo cardiaco. Di conseguenza, la zona ristretta o ostruita viene saltata. Si preferisce un’arteria a una vena perché le arterie si ostruiscono meno frequentemente nel tempo. In un tipo di innesto di bypass, una delle due arterie mammarie interne viene sezionata e una delle estremità viene connessa all’arteria coronaria al di là della zona ostruita. L’altra estremità di questa arteria viene legata. Se non può essere utilizzata un’arteria o se le ostruzioni sono multiple, viene usato un segmento di vena, in genere della vena grande safena, che decorre dall’inguine alla caviglia. Un’estremità della porzione di vena (innesto) viene connessa all’aorta, mentre l’altra estremità si collega all’arteria coronaria oltre la zona ostruita. A volte un innesto venoso viene usato in aggiunta all’innesto di arteria mammaria.

Prevenzione delle coronaropatie

Modificando i fattori di rischio di aterosclerosi si può aiutare a prevenire la coronaropatia. Alcuni di questi fattori sono interdipendenti, per cui, modificandone uno, automaticamente se ne modifica un altro.

Fumo

Smettere di fumare è molto importante. I soggetti che hanno smesso di fumare dimezzano il rischio di coronaropatia rispetto a quelli che continuano a fumare. Non è rilevante per quanto tempo essi abbiano fumato prima di smettere. Inoltre, l’abolizione del fumo riduce la mortalità dopo un intervento di bypass di arteria coronarica o dopo un attacco cardiaco. Inoltre, è importante anche evitare il fumo passivo.

Alimentazione

Diversi cambiamenti dello stile di vita sono associati a benefici:

  • Minore assunzione di grassi saturi

  • Eliminazione dei grassi trans

  • Maggiore assunzione di frutta e verdura

  • Maggiore assunzione di fibre

  • Assunzione moderata di alcol (se consumato)

  • Carboidrati più complessi (come zucchero, pane bianco e farina bianca)

Per favorire uno stato di buona salute, si raccomanda di limitare la quantità di grassi al 25-35% delle calorie giornaliere. Tuttavia, alcuni specialisti ritengono che, per ridurre il rischio di coronaropatia, i grassi debbano essere ridotti al 10% delle calorie giornaliere. Una dieta a basso contenuto di grassi aiuta ad abbassare i livelli di colesterolo totale e LDL (colesterolo cattivo), un altro fattore di rischio di coronaropatia. Il tipo di grassi consumati è importante tanto quanto la quantità. Pertanto, si raccomanda di assumere regolarmente pesce oleoso, come salmone, ad alto contenuto di grassi omega-3 (grassi buoni) e di evitare rigorosamente i grassi trans più nocivi. Negli Stati Uniti e in alcune altre nazioni, i grassi trans sono stati vietati nei prodotti alimentari confezionati, nei fast food e nei ristoranti.

Il consumo giornaliero di almeno cinque porzioni di frutta e verdura può ridurre il rischio di coronaropatia. Questo tipo di alimenti contiene molti fitochimici. Non è chiaro se i fitochimici siano responsabili della riduzione del rischio, perché i soggetti che seguono tali diete tendono anche a ingerire meno grassi, più fibre e maggiori quantità di vitamine C ed E. Un gruppo di fitochimici noti come flavonoidi (che si trovano nell’uva nera e rossa, nel vino rosso e nei tè neri) sembra essere associato a un rischio inferiore di coronaropatia. Tuttavia, non vi è una chiara correlazione di causa-effetto. Questo minore rischio potrebbe essere influenzato anche da altri fattori nello stile di vita condotto.

Si consiglia anche una dieta ad alto contenuto di fibre. Esistono due tipi di fibre.

  • Le fibre solubili (che si dissolvono nei liquidi) si trovano nei cereali integrali come la farina d’avena, nei fagioli, piselli, crusca di riso, orzo, agrumi, fragole e nella polpa delle mele. Tali fibre aiutano a ridurre i livelli di colesterolo. Possono ridurre o stabilizzare i livelli elevati di glicemia (glucosio) e aumentare i bassi livelli di insulina. Pertanto, le fibre solubili possono ridurre il rischio di coronaropatia in chi soffre di diabete.

  • Le fibre insolubili (che non si sciolgono nei liquidi) si trovano nella maggior parte delle granaglie e nei prodotti a base di grano, nonché in frutta e ortaggi come la buccia di mela, il cavolo, le barbabietole, le carote, i cavoletti di Bruxelles, le rape e il cavolfiore. Anche questo tipo di fibra favorisce la funzione digestiva.

Tuttavia, un consumo eccessivo di fibre può interferire con l’assorbimento di alcune vitamine e minerali.

La dieta deve contenere le quantità giornaliere raccomandate di vitamine e minerali. Gli integratori vitaminici non sono considerati sostituti accettabili per una dieta salutare. Il ruolo degli integratori nel ridurre il rischio di coronaropatia è piuttosto controverso. L’assunzione di integratori di vitamina E o C non sembra prevenire le coronaropatie. L’assunzione di folato o vitamine B6 e B12 può abbassare i livelli di omocisteina, ma gli studi non hanno dimostrato che l’assunzione di questi integratori riduca il rischio di coronaropatia.

Limitando l’apporto di carboidrati semplici (come farina bianca raffinata, riso bianco, alimenti lavorati) e aumentando la quota di alimenti a base di cereali integrali è possibile ridurre il rischio di coronaropatia perché si riduce il rischio di obesità e, possibilmente, di diabete, anch’essi fattori di rischio di coronaropatia.

Nell’insieme, un soggetto dovrebbe mantenere un peso ideale e seguire una dieta varia. Sono state proposte varie diete specifiche per ridurre il rischio di cardiopatia o ictus. La dieta mediterranea sembra ridurre il rischio di coronaropatia come pure il rischio di ulteriori attacchi cardiaci nei soggetti già affetti da una cardiopatia. Secondo l’American Heart Association, la dieta mediterranea è composta da grandi quantità di frutta, verdura, frutta a guscio, semi, pane e altri cereali, patate, legumi e olio d’oliva. Latticini, uova, pesce e pollame sono consumati in quantità da bassa a moderata. Pesce e pollame sono più frequenti rispetto alla carne rossa in questa dieta. È inoltre incentrata su cibi poco lavorati, basata su vegetali, con frutta come dessert, comunemente, piuttosto che dolci. Il vino può essere consumato in quantità da bassa a moderata, solitamente durante i pasti.

Tipi di grassi

Esistono tre tipi di grassi:

  • Saturi

  • Monoinsaturi

  • Polinsaturi

Il termine “saturo” indica il numero di atomi di idrogeno in una molecola di grasso.

I grassi saturi contengono il più alto numero di atomi di idrogeno possibile. Sono generalmente solidi a temperatura ambiente. I grassi saturi si trovano nella carne, nei prodotti caseari e negli oli vegetali idrogenati artificialmente. Maggiore è la solidità del prodotto, più alto è il tasso di grassi saturi presenti. Una dieta ad alto contenuto di grassi saturi aumenta il rischio di coronaropatia.

I grassi insaturi (monoinsaturi e polinsaturi) non contengono tutti gli atomi di idrogeno che potrebbero avere. I grassi monoinsaturi potrebbero possedere un atomo di idrogeno in più. Solitamente sono liquidi a temperatura ambiente ma iniziano a solidificarsi in frigorifero. L’olio di oliva e l’olio canola ne sono esempi.

I grassi polinsaturi potrebbero contenere più di un solo atomo di idrogeno aggiuntivo. Questi grassi sono solitamente liquidi a temperatura ambiente e in frigorifero. Tendono a diventare rancidi a temperatura ambiente. L’olio di mais ne è un esempio. I grassi polinsaturi comprendono i grassi omega-3, contenuti nei pesci grassi che vivono in mari profondi (come sgombro, salmone e tonno) e i grassi omega-6, contenuti negli oli vegetali.

I grassi trans sono prodotti mediante un processo chiamato idrogenazione, nel quale atomi di idrogeno vengono aggiunti artificialmente agli oli polinsaturi (“trans” si riferisce al punto nella molecola di grasso nel quale vengono aggiunti gli atomi di idrogeno). Gli oli contenenti acidi grassi trans possono essere utilizzati per preparare prodotti alimentari che non diventano rancidi e per preparare prodotti grassi solidi, come la margarina. I grassi trans sono particolarmente comuni nei prodotti da forno e fritti disponibili in commercio, come biscotti, cracker, ciambelle, patatine fritte e altri alimenti simili. Negli Stati Uniti e in molte altre nazioni l’uso dei grassi trans come ingredienti è stato vietato.

I grassi trans aumentano i livelli di colesterolo lipoproteico a bassa densità (LDL, colesterolo cattivo) e riducono i livelli di colesterolo lipoproteico ad alta densità (HDL, colesterolo buono), laddove questi effetti sembrano aumentare il rischio di coronaropatia. Pertanto, evitare i prodotti che contengono grassi trans è una scelta saggia. I grassi trans sono ora riportati nelle etichette dei prodotti alimentari. Inoltre, se un grasso idrogenato o un grasso parzialmente idrogenato rappresenta il primo grasso sulla lista degli ingredienti, il prodotto contiene acidi grassi trans. Alcuni ristoranti offrono anche informazioni sulle voci del menu che contengono grassi trans.

Anche l’aspetto di una margarina o di un olio può aiutare a identificare gli alimenti contenenti questi acidi grassi: più sono morbidi o liquidi, minore è il contenuto di acidi grassi trans. Per esempio, il contenuto di acidi grassi trans di margarine in vaschette è minore di quello di margarine in barrette.

Alcuni tipi di margarine contengono uno sterolo o uno stanolo vegetale che può ridurre i livelli di colesterolo totale e LDL. Gli steroli e gli stanoli vegetali possono avere questo effetto perché non vengono assorbiti bene nel tratto digerente e possono interferire con l’assorbimento del colesterolo. Questi tipi di margarine sono stati approvati come alimenti sani per il cuore, se utilizzati nell’ambito di una dieta sana. Tali prodotti vengono creati a partire da grassi insaturi, contengono meno grassi saturi rispetto al burro e non contengono acidi grassi trans. Tuttavia, sono costosi.

L’associazione ideale dei vari tipi di grassi non è conosciuta. Tuttavia, una dieta ricca di grassi monoinsaturi o omega-3 e a basso tenore di grassi trans è verosimilmente auspicabile.

Inattività fisica

I soggetti fisicamente attivi sono meno predisposti allo sviluppo di coronaropatia e di ipertensione. Un’attività fisica che promuova la resistenza (l’esercizio aerobico come una camminata a passo sostenuto, il ciclismo e lo jogging) o la forza muscolare (allenamento con pesi o macchine apposite) aiuta a prevenire la coronaropatia. Una camminata di soli 30 minuti al giorno può recare beneficio. I soggetti fuori forma o che non pratichino attività fisica da molto tempo devono consultare il medico di famiglia prima di iniziare un programma di attività fisica.

Obesità

Un cambiamento della dieta e l’attività fisica possono aiutare a controllare l’obesità. Anche la riduzione del consumo di alcol, che possiede molte calorie, può essere d’aiuto. La perdita di 5-10 kg può ridurre il rischio di coronaropatia.

Elevati livelli di colesterolo

Elevati livelli di colesterolo totale e LDL (colesterolo cattivo) possono essere ridotti mediante l’attività fisica, nonché smettendo di fumare o riducendo la quantità di grassi presenti nella dieta. Si possono utilizzare farmaci che riducono il colesterolo totale e LDL nel sangue (farmaci ipolipemizzanti). I benefici legati all’abbassamento dei livelli di colesterolo sono maggiori nei soggetti che presentano altri fattori di rischio come fumo, ipertensione, obesità e sedentarietà.

Anche aumentare il livello di colesterolo HDL (buono) a livelli sani favorisce una riduzione del rischio di coronaropatia. Gli stessi cambiamenti dello stile di vita che riducono i livelli di colesterolo totale e LDL possono aiutare ad aumentare i livelli di colesterolo HDL. Anche alcuni farmaci possono aumentare i livelli di colesterolo HDL, ma non è chiaro se l’uso di farmaci a tale scopo sia utile. Anche la perdita di peso può rivelarsi utile nei soggetti in sovrappeso.

ipertensione arteriosa

L’abbassamento dell’ipertensione riduce il rischio di coronaropatia. Il primo passo nel trattamento dell’ipertensione consiste nel cambiamento delle abitudini di vita: seguire una dieta sana povera di sodio e, se necessario, perdere peso e aumentare l’attività fisica. Può rendersi necessaria anche una terapia farmacologica.

Diabete mellito

Un buon controllo del diabete mellito riduce il rischio di alcune complicanze della patologia, ma gli effetti di tale controllo sullo sviluppo della coronaropatia sono meno chiari. Un buon controllo del diabete può anche ridurre il rischio di complicanze della coronaropatia.

Aspirina

L’aspirina, talvolta raccomandata in passato per chi non avesse mai avuto una coronaropatia, non è attualmente raccomandata per tali soggetti.