Macroglobulinemia

(macroglobulinemia primaria, macroglobulinemia di Waldenström)

DiJames R. Berenson, MD, Institute for Myeloma and Bone Cancer Research
Revisionato/Rivisto ott 2021
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La macroglobulinemia è un tumore delle plasmacellule in cui un solo clone di plasmacellule produce quantità eccessive di un tipo di anticorpo di grandi dimensioni (IgM), denominato macroglobulina.

  • Sebbene molti soggetti siano asintomatici, alcuni presentano eccessivo sanguinamento, infezioni batteriche ricorrenti e fratture ossee dovute a osteoporosi grave.

  • Per porre la diagnosi, sono necessari esami del sangue e l’esame del midollo osseo.

  • La macroglobulinemia non è curabile, ma la sua progressione può essere rallentata impiegando farmaci chemioterapici.

Le plasmacellule derivano dalle cellule B (linfociti B), un tipo di globuli bianchi che normalmente produce anticorpi (immunoglobuline). Gli anticorpi sono proteine che aiutano l’organismo a combattere le infezioni. Se una singola plasmacellula si moltiplica eccessivamente, il gruppo di cellule geneticamente identiche che ne risulta (detto clone) produce una grande quantità di un singolo tipo di anticorpi. Poiché è costituito da un singolo clone, questo anticorpo viene chiamato anticorpo monoclonale, noto anche come proteina M. (Vedere anche Panoramica sulle malattie delle plasmacellule.)

La macroglobulinemia colpisce maggiormente gli uomini rispetto alle donne e l’età media di insorgenza della malattia è di 65 anni. La causa è sconosciuta.

Sintomi della macroglobulinemia

Molti soggetti affetti da macroglobulinemia sono asintomatici e la malattia viene scoperta per caso, quando si riscontra nel sangue un livello elevato di proteine, nel corso di analisi eseguite di routine.

Altri soggetti presentano sintomi dovuti all’interferenza con il flusso ematico a livello di cute, dita delle mani, dita dei piedi, naso e cervello, che si verifica quando un’elevata quantità di macroglobuline rende il sangue più denso (sindrome da iperviscosità). Questi sintomi comprendono emorragie cutanee e mucosali (come per esempio della mucosa della bocca, del naso e del tratto digerente), affaticamento, debolezza, cefalea, stato confusionale, vertigini e perfino coma. L’aumentata viscosità del sangue può anche aggravare i disturbi cardiaci e causare un aumento della pressione endocranica. I piccoli vasi sanguigni della porzione posteriore dell’occhio possono diventare congesti e sanguinare, danneggiando la retina e la visione.

I soggetti affetti da macroglobulinemia possono anche presentare edema linfonodale e ingrossamento del fegato e della milza, dovuti all’infiltrazione da parte di plasmacellule tumorali. Le infezioni batteriche ricorrenti, derivanti da un’insufficiente produzione di anticorpi normali, possono causare febbre e brividi. L’anemia, che può causare debolezza e affaticamento, insorge quando le plasmacellule tumorali inibiscono la produzione, nel midollo osseo, delle normali cellule midollari che formano il sangue. L’infiltrazione ossea da parte di plasmacellule tumorali può causare perdita della densità ossea (osteoporosi), con fragilità ossea e maggior rischio di fratture.

Alcune persone sviluppano una condizione chiamata crioglobulinemia, che comporta lo sviluppo di anticorpi che determinano occlusione vascolare a basse temperature.

Cos’è la crioglobulinemia?

Le crioglobuline sono anticorpi anomali prodotti dalle plasmacellule e disciolti nel sangue. Se esposte a temperature al di sotto di quella corporea normale, le crioglobuline formano grandi ammassi solidi (precipitati); a temperatura corporea normale, si dissolvono nuovamente.

Raramente, si osserva la formazione di crioglobuline (crioglobulinemia). Nella maggior parte dei casi è una malattia preesistente a causare la formazione di crioglobuline. Fra queste malattie vi sono tumori come macroglobulinemia e leucemia linfatica cronica, patologie autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico (lupus) e infezioni da organismi come il virus dell’epatite C. Raramente, non si riesce a identificare la causa della formazione di crioglobuline.

I precipitati di crioglobuline possono scatenare infiammazione dei vasi sanguigni (vasculite), che causa vari sintomi, come ematomi, dolori articolari e debolezza. La vasculite può compromettere il fegato e i reni. In alcuni soggetti il danno può progredire sino all’insufficienza epatica e renale e può essere letale.

I soggetti con crioglobulinemia possono essere molto sensibili al freddo o sviluppare la sindrome di Raynaud, nella quale mani e piedi divengono molto dolorosi e pallidi quando si raffreddano.

Si può prevenire la vasculite, evitando l’esposizione a basse temperature. Il trattamento del disturbo preesistente può ridurre la formazione di crioglobuline. Per esempio, l’impiego di interferone alfa per il trattamento dell’infezione da virus dell’epatite C può aiutare a ridurre la formazione di crioglobuline. Possono essere utili la rimozione di una grande quantità di plasma (la parte liquida del sangue) unita a trasfusioni di plasma (plasmaferesi), in particolare in associazione a interferone.

Diagnosi di macroglobulinemia

  • Esami del sangue

  • Esami di laboratorio aggiuntivi

Al sospetto di macroglobulinemia vengono effettuati esami del sangue. I tre esami più utili sono l’elettroforesi proteica nel siero, il dosaggio delle immunoglobuline e l’immunoelettroforesi (una procedura mediante la quale le proteine vengono separate dal plasma e identificate in base alle reazioni immunologiche rilevabili che determinano). Nei pazienti affetti da macroglobulinemia si osservano comunemente mutazioni specifiche di un particolare gene, l’MYD88 (gene di risposta primaria alla differenziazione mieloide).

Potrebbero essere eseguiti anche altri esami di laboratorio. Per esempio, l’emocromo consente di valutare se il numero di globuli rossi, bianchi e piastrine è normale. Spesso si esegue il test della viscosità sierica, per valutare la fluidità del sangue. L’esame della coagulazione può risultare alterato e con altri test si può riscontrare la presenza di crioglobuline. L’esame delle urine può evidenziare la presenza di proteine di Bence Jones (frammenti di anticorpi anomali). Una biopsia del midollo osseo può rivelare l’aumento dei linfociti e delle plasmacellule, contribuendo a confermare la diagnosi di macroglobulinemia, mentre l’aspetto di queste cellule permette di distinguere questa malattia dal mieloma multiplo.

Le radiografie possono mostrare una perdita della densità ossea (osteoporosi). Con la tomografia computerizzata (TC), si rileva la presenza di ingrossamento della milza, del fegato o dei linfonodi.

Trattamento della macroglobulinemia

  • Corticosteroidi

  • Chemioterapia

  • Altri farmaci mirati al sistema immunitario

  • Plasmaferesi

Spesso non è necessario iniziare alcun trattamento per molti anni. Quando si rende necessario un trattamento, tuttavia, i corticosteroidi sono spesso utili, perché cambiano la composizione proteica delle cellule, danneggiando o uccidendo le cellule cancerose.

La chemioterapia, generalmente con clorambucile o fludarabina, può rallentare la crescita delle plasmacellule anomale. Talvolta si utilizzano altri farmaci chemioterapici, come la bendamustina, il melfalan o la ciclofosfamide, e i corticosteroidi, in monoterapia o in associazione.

Possono essere utili i farmaci con una modalità di azione diversa da quelli chemioterapici. L’anticorpo monoclonale rituximab può essere efficace nel rallentare la crescita delle plasmacellule anomale. Altri farmaci, che influenzano il sistema immunitario in modi diversi, fra cui talidomide, lenalidomide, pomalidomide, bortezomib, carfilzomib, ibrutinib, acalabrutinib, zanubrutinib, idelalisib ed everolimus, sono stati utilizzati con qualche successo, soprattutto se in combinazione con corticosteroidi e/o chemioterapia.

I soggetti che presentano un ispessimento del sangue devono essere trattati immediatamente con la plasmaferesi, una procedura che consiste nel prelevare il sangue, rimuovere gli anticorpi anomali e reinfondere i globuli rossi al soggetto. Tuttavia, solo un numero limitato di soggetti con macroglobulinemia necessita di tale procedura, che spesso deve essere ripetuta.

La malattia rimane incurabile, ma i pazienti normalmente sopravvivono da 7 a 10 anni dopo la diagnosi.