La scienza medica

DiByron J. Hoogwerf, MD, Cleveland Clinic
Revisionato/Rivisto ago 2021
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I medici curano i pazienti da molte migliaia di anni. La prima descrizione scritta delle cure mediche risale all’antico Egitto, a più di 3.500 anni fa. Persino in epoche precedenti, guaritori e sciamani avevano probabilmente somministrato rimedi a base di erbe e di altro tipo a malati e feriti. Alcuni rimedi, come quelli utilizzati per alcune fratture semplici e piccole ferite, erano efficaci. Tuttavia, fino a poco tempo fa, molti trattamenti medici non erano efficaci e alcuni risultavano effettivamente nocivi.

Duecento anni fa, fra i rimedi comuni per un’ampia varietà di disturbi vi era l’incisione a cielo aperto di una vena per rimuovere mezzo litro o più di sangue e introdurre nell’organismo varie sostanze tossiche al fine di indurre vomito o diarrea per “purgare” il corpo dalla malattia: tutti rimedi pericolosi per un malato o un ferito. Circa 120 anni fa, insieme alla menzione di alcuni farmaci utili ma potenzialmente tossici come l’aspirina e la digitale, IL MANUALE menzionava la cocaina come trattamento per l’alcolismo, l’arsenico e il fumo di tabacco come trattamenti per l’asma, e lo spray nasale all’acido solforico come trattamento per il raffreddore. I medici erano convinti di aiutare i propri pazienti. Naturalmente, non ha senso aspettarsi che i medici del passato conoscessero le nozioni che conosciamo oggi; ma come mai i medici pensavano che il fumo di tabacco potesse arrecare beneficio a un soggetto affetto da asma?

Vi erano svariati motivi per cui i medici consigliavano trattamenti inefficaci (e talvolta nocivi) e per cui i soggetti li accettavano.

  • In genere, non esistevano trattamenti alternativi efficaci.

  • I medici e i malati spesso preferiscono fare qualcosa piuttosto che non far niente.

  • La gente trova conforto nel sottoporre i problemi a una figura autorevole.

  • I medici spesso forniscono il sostegno e la rassicurazione di cui il paziente ha tanto bisogno.

Per di più, occorre ammettere che i medici non erano in grado di dire quali trattamenti fossero efficaci.

Trattamento e guarigione: Causa ed effetto?

Se un evento si manifesta immediatamente prima di un altro, si tende naturalmente a presupporre che il primo evento sia la causa del secondo. Per esempio, se una persona preme un tasto non contrassegnato su una parete e una porta dell’ascensore accanto si apre, la persona deduce naturalmente che il pulsante comanda l’ascensore. La capacità di effettuare tali collegamenti tra gli eventi è una parte fondamentale dell’intelletto umano ed è responsabile di gran parte della nostra comprensione del mondo. Tuttavia, la gente spesso vede collegamenti causali dove in realtà non esistono. Ecco perché forse gli atleti continuano a indossare calzini “fortunati” che avevano quando hanno vinto una gara importante, o uno studente continua a utilizzare la stessa matita “fortunata” agli esami.

Questo modo di pensare è anche il motivo per cui alcuni trattamenti medici inefficaci erano ritenuti efficaci. Per esempio, se la febbre di un malato si abbassava bruscamente dopo che il medico drenava mezzo litro di sangue o lo sciamano cantava una certa formula magica, le persone deducevano naturalmente che tali azioni fossero la causa dell’abbassamento della febbre. Per coloro che cercavano disperatamente un po’ di sollievo, tornare a stare meglio era l’unica prova necessaria. Purtroppo, queste apparenti relazioni di causa-effetto, osservate ai primordi della medicina, erano raramente esatte, ma la convinzione che esistessero è bastata a perpetuare secoli di rimedi inefficaci. Come è potuto accadere?

Le persone migliorano spontaneamente. A differenza degli oggetti inanimati “malati” (come un’ascia rotta o una camicia strappata), che rimangono danneggiati fintantoché qualcuno non li ripara, i malati spesso tornano a stare bene da soli (o nonostante la cura del proprio medico) se l’organismo guarisce da solo o la malattia completa il proprio decorso. I raffreddori si risolvono nell’arco di una settimana, l’emicrania in genere dura un giorno o due e i sintomi di intossicazione alimentare possono scomparire nell’arco di 12 ore. Molte persone guariscono persino da disturbi che costituiscono un pericolo per la vita, come un attacco cardiaco o una polmonite, senza trattamento. I sintomi di malattie croniche (come l’asma o l’anemia falciforme) vanno e vengono. Pertanto, molti trattamenti possono sembrare efficaci se si concede loro abbastanza tempo, e ogni trattamento somministrato in prossimità del momento della guarigione spontanea può sembrare straordinariamente efficace.

L’effetto placebo può esserne responsabile. Credere nel potere del trattamento è spesso sufficiente a portare le persone a sentirsi meglio. Sebbene la convinzione non possa comportare la guarigione da una malattia, come un osso fratturato o il diabete, le persone che credono di ricevere un trattamento efficace e potente molto spesso si sentono meglio. Dolore, nausea, debolezza e molti altri sintomi possono diminuire anche se una pillola non contiene ingredienti attivi e non può dare in alcun modo benefici, come nel caso di una “pillola di zucchero” (il cosiddetto placebo). Ciò che conta è la convinzione.

Un trattamento inefficace (o addirittura nocivo) prescritto da un medico di fiducia a un soggetto fiducioso e pieno di speranza, si traduce spesso in un notevole miglioramento dei sintomi. Questo miglioramento è chiamato “effetto placebo”. Pertanto, si potrebbe provare un beneficio effettivo (non semplicemente percepito) di un trattamento che non ha avuto alcun effetto ovvio sulla malattia stessa. Le attuali ricerche indicano che esiste una base biologica per l’effetto placebo in alcuni disturbi, anche se tale effetto non è specifico per la patologia effettiva.

Perché è importante? Alcune persone sostengono che l’unica cosa importante è se un trattamento fa star meglio le persone. Non importa se il trattamento sia in realtà “efficace”, vale a dire se influisca sulla malattia di base. Questo argomento può essere ragionevole quando il problema è costituito dal sintomo, come accade in molti dolori e malesseri quotidiani o in alcune malattie come il raffreddore, che scompaiono generalmente da soli. In tali casi, i medici talvolta prescrivono trattamenti che hanno un effetto minimo sulla malattia ma che, invece, possono almeno in parte alleviare i sintomi grazie all’effetto placebo. Tuttavia, per qualsiasi disturbo dannoso o potenzialmente grave, o quando il trattamento stesso può causare effetti collaterali, è importante che i medici prescrivano solo trattamenti realmente efficaci. I potenziali benefici di un trattamento devono essere bilanciati rispetto ai potenziali danni. Per esempio, può avere senso assumere farmaci con molti effetti collaterali per i soggetti con patologie potenzialmente letali, come un tumore. Alcuni farmaci antitumorali possono causare gravi danni, ad esempio ai reni o al cuore, ma tali rischi sono spesso accettabili perché l’alternativa ai farmaci (gli effetti dei tumori non trattati) è probabilmente peggiore rispetto agli effetti collaterali del farmaco

In che modo i medici cercano di apprendere ciò che funziona

Alcuni medici compresero molto tempo fa che le persone erano in grado di migliorare da sole, e cercarono naturalmente di paragonare il modo in cui soggetti diversi con la stessa malattia guarivano, con o senza trattamento. Tuttavia, fino alla metà del XIX secolo, questo confronto è risultato essere molto difficile. Data la scarsa conoscenza delle malattie, era difficile affermare se due o più soggetti, anche con sintomi simili, fossero affetti dalla stessa patologia.

I medici utilizzavano spesso uno stesso termine per indicare malattie completamente diverse. Per esempio, nei secoli XVIII e XIX, la diagnosi di “idropisia” riguardava soggetti che presentavano gonfiore agli arti inferiori. Oggi sappiamo che il gonfiore può derivare da insufficienza cardiaca, insufficienza renale o gravi malattie epatiche, condizioni molto diverse tra loro che non rispondono agli stessi trattamenti. Allo stesso modo, a molti soggetti con febbre, talvolta associata anche a vomito, veniva diagnosticata la “febbre biliare”. Oggi sappiamo che molte malattie diverse, come tifo, malaria, appendicite ed epatite, provocano febbre e vomito.

Solo quando diagnosi accurate e scientificamente fondate divennero comuni all’inizio del XX secolo, i medici cominciarono a essere in grado di valutare i trattamenti in modo efficace. Tuttavia, dovevano comunque determinare come valutare un trattamento nel modo migliore.

Dimensione del campione

Prima di tutto, i medici compresero che dovevano osservare la reazione al trattamento in più di un singolo soggetto malato. Uno o più soggetti che presentano un miglioramento (o un peggioramento) potrebbe essere una coincidenza. È invece meno probabile che il raggiungimento di buoni risultati in molti soggetti sia una coincidenza. Maggiore è il numero di persone trattate (dimensione del campione), più è probabile che il beneficio o l’effetto collaterale osservato sia reale.

Gruppi di controllo

Anche se i medici osservano una buona risposta a un nuovo trattamento in un vasto gruppo di persone, non sanno ancora se lo stesso numero di persone (o più) sarebbe guarito da solo o sarebbe guarito ancora meglio con un trattamento diverso. Pertanto, i medici di solito confrontano i risultati tra un gruppo di soggetti che riceve un trattamento in studio (gruppo di trattamento) e un altro gruppo (gruppo di controllo) che riceve:

  • un trattamento più datato

  • un trattamento fittizio (un placebo, come una pillola di zucchero)

  • nessun trattamento

Gli studi che coinvolgono un gruppo di controllo sono chiamati studi controllati.

Ambito temporale

Inizialmente, i medici assegnavano semplicemente un nuovo trattamento a tutti i propri pazienti affetti da una certa malattia, per poi confrontare i risultati con quelli del gruppo di controllo di persone trattate in un momento precedente (sia dagli stessi medici sia da altri colleghi). Le persone trattate in precedenza sono considerate un gruppo di controllo storico. Per esempio, se i medici scoprivano che l’80% dei propri pazienti era sopravvissuto alla malaria dopo avere ricevuto un nuovo trattamento, mentre in precedenza era sopravvissuto solo il 60%, potevano concludere che il nuovo trattamento era più efficace.

Un problema insito nel confronto con risultati ottenuti in precedenza è che i progressi delle cure mediche generali compiuti nel tempo che separa il trattamento precedente da quello nuovo potrebbero essere responsabili di un eventuale miglioramento degli esiti. Per esempio, non è appropriato confrontare i risultati di soggetti trattati nel 2021 con i risultati di soggetti trattati nel 1971. Tanto per fare un esempio, l’ulcera peptica veniva originariamente trattata con una dieta a base di latte e panna o con un intervento chirurgico, in seguito con farmaci antiacidi, e più di recente con antibiotici. I confronti dei trattamenti utilizzati nel tempo devono tenere in conto i cambiamenti nella comprensione del processo patologico.

Gli studi prospettici possono aiutare a evitare problemi con i gruppi di controllo storici. Negli studi prospettici, i medici cercano di creare allo stesso tempo gruppi di trattamento e gruppi di controllo e di osservarne i risultati man mano che si presentano. Le caratteristiche salienti dei soggetti nei gruppi di trattamento e di controllo devono essere simili. Ad esempio, se l’esito in corso di studio è il decesso causato da tumore o da una cardiopatia, le età dei soggetti in ciascun gruppo devono essere simili poiché queste patologie sono più frequenti negli anziani.

Confrontare mele con mele

La preoccupazione più grande in tutti i tipi di studi medici, compresi gli studi storici, è che il confronto dovrebbe avvenire tra gruppi di soggetti simili.

Nel primo esempio di un controllo storico, se il gruppo di soggetti che ha ricevuto il nuovo trattamento (gruppo di trattamento) per la malaria era costituito per lo più da giovani che presentavano una forma lieve della malattia, e il gruppo trattato in precedenza (controllo) era costituito da soggetti anziani che presentavano forme gravi della malattia, potrebbe darsi che i soggetti nel gruppo di trattamento abbiano presentato dei miglioramenti semplicemente perché erano più giovani e più sani. Pertanto, un nuovo trattamento potrebbe falsamente apparire più efficace.

Occorre inoltre prendere in considerazione molti altri fattori, oltre l’età e la gravità della malattia, quali:

  • lo stato di salute generale dei soggetti su cui è condotto lo studio (i soggetti con malattie croniche, come diabete o insufficienza renale, tendono ad avere un andamento peggiore rispetto ai soggetti sani)

  • il medico e l’ospedale specifici che prestano assistenza (alcuni possono essere più qualificati e offrire servizi migliori di altri)

  • le percentuali di uomini e donne che compongono i gruppi di studio (uomini e donne possono rispondere in modo diverso al trattamento)

  • se lo studio abbia incluso una popolazione diversificata (i trattamenti devono essere sicuri ed efficaci in soggetti che presentano caratteristiche differenti, come razza, località geografica o livello socioeconomico diversi) perché i trattamenti potrebbero funzionare in modo più efficace in alcuni di questi gruppi

I medici hanno tentato vari metodi diversi per assicurare che i gruppi oggetto del confronto siano il più possibile simili, ma gli approcci principali sono due:

  • Studi caso-controllo: vengono abbinate con precisione persone che ricevono il nuovo trattamento (casi) con persone che non lo ricevono (controlli) in base a quanti più fattori possibile (età, sesso, stato di salute e via dicendo) e servendosi di tecniche statistiche finalizzate ad assicurare la comparabilità tra i gruppi.

  • Sperimentazioni randomizzate: le persone vengono suddivise fra i diversi gruppi di studio in modo casuale (randomizzazione) prima dell’inizio dello studio

Gli studi caso-controllo sembrano essere sensati. Per esempio, se un medico sta studiando un nuovo trattamento per la pressione alta (ipertensione) e un soggetto nel gruppo di trattamento ha 42 anni di età e soffre di diabete, il medico cercherebbe di garantire il posizionamento di un soggetto quarantenne affetto da ipertensione e diabete nel gruppo di controllo. Tuttavia, le differenze tra i soggetti, differenze che spesso il medico non immagina neanche, sono talmente tante che è quasi impossibile creare intenzionalmente una corrispondenza esatta per ogni persona che partecipa a uno studio.

Le sperimentazioni randomizzate riducono il rischio di differenze tra gruppi che influiscono sui risultati dello studio utilizzando un approccio completamente diverso. Il modo migliore per garantire che i gruppi siano correttamente abbinati è quello di sfruttare le leggi della probabilità e assegnare casualmente (tipicamente con l’ausilio di un programma informatico) i soggetti che presentano la stessa malattia a gruppi diversi. La comparabilità dei gruppi è più probabile se i gruppi vengono abbinati usando variabili note come età, sesso e la presenza di altre malattie. Tuttavia, un vantaggio unicamente importante della randomizzazione è che è probabile che qualsiasi fattore che influenza l’esito dello studio ma non è noto (e pertanto non può essere abbinato tra i gruppi) sia distribuiti in modo casuale tra i partecipanti e i gruppi. Maggiori sono le dimensioni di ciascun gruppo, maggiore è la probabilità che i soggetti di ciascun gruppo presentino caratteristiche simili.

Gli studi prospettici randomizzati sono il modo migliore per far sì che un trattamento o un test siano confrontati tra gruppi equivalenti.

Eliminazione di altri fattori

Una volta creati gruppi equivalenti, i medici devono fare in modo che l’unica differenza consentita sia il trattamento dello studio stesso. In questo modo, i medici possono essere sicuri che qualsiasi differenza nel risultato sarà dovuta al trattamento e non ad altri fattori, come la qualità o la frequenza del follow-up.

L’effetto placebo è un altro fattore importante. I soggetti che sanno di ricevere realmente un nuovo trattamento anziché nessun trattamento (o un trattamento datato, presumibilmente meno efficace), spesso si aspettano di sentirsi meglio. Alcuni soggetti, d’altro canto, possono aspettarsi di sperimentare un numero maggiore di effetti collaterali da un nuovo trattamento sperimentale. In entrambi i casi, queste aspettative possono aumentare gli effetti del trattamento, facendolo sembrare più efficace o portatore di maggiori complicanze di quanto non sia realmente.

Il “cieco”, detto anche “mascheramento”, è una tecnica impiegata per ridurre i problemi causati dall’effetto placebo. Esistono due tipi generali di cieco: singolo e doppio.

  • Il singolo cieco avviene quando i soggetti che partecipano a uno studio non devono sapere se stanno ricevendo o meno un nuovo trattamento, ossia sono “ciechi” a questa informazione. Il cieco di solito si ottiene somministrando ai soggetti del gruppo di controllo una sostanza dall’aspetto identico, di solito un placebo, una sostanza che non ha alcun effetto medico. Negli studi a singolo cieco il personale dello studio conosce il trattamento assegnato, mentre i partecipanti no.

  • Il doppio cieco avviene quando sia i partecipanti sia il personale dello studio non sanno quali partecipanti dello studio stiano ricevendo un nuovo trattamento o un placebo. Poiché il medico o l’infermiere potrebbe accidentalmente far sapere al soggetto il tipo di trattamento che sta ricevendo, e così “svelare il cieco”, è bene che tutti gli operatori sanitari coinvolti rimangano ignari di ciò che viene somministrato. Un altro motivo a favore del doppio cieco consiste nel fatto che l’effetto placebo può influenzare perfino il medico, che potrebbe inconsciamente pensare che un soggetto che riceve un trattamento stia avendo miglioramenti rispetto a un soggetto che non riceve alcun trattamento, sebbene entrambi stiano avendo esattamente lo stesso decorso. Il doppio cieco di solito richiede che un soggetto non coinvolto nello studio, per esempio un farmacista, prepari sostanze apparentemente identiche etichettate solo con un codice numerico speciale, il cui significato verrà rivelato solo dopo il completamento dello studio.

Non tutti gli studi medici possono essere in doppio cieco. Per esempio, i chirurghi che studiano due diverse procedure chirurgiche ovviamente conoscono quale procedura stanno eseguendo (sebbene i soggetti che sono sottoposti a tali procedure possano esserne tenuti all’oscuro). In questi casi, i medici si assicurano che i soggetti che valutano l’esito del trattamento siano tenuti in cieco riguardo a quanto è stato fatto, in modo che non possano inconsciamente influenzare i risultati.

Quando esiste già un trattamento efficace per una malattia, potrebbe non essere etico somministrare al gruppo di controllo solo un placebo. In queste situazioni, i trattamenti possono comunque essere spesso valutati utilizzando altri disegni dello studio, come nei seguenti esempi:

  • Per stabilire se un nuovo trattamento contribuisca all’efficacia di un trattamento standard, uno studio può confrontare i risultati del trattamento standard più il nuovo trattamento sperimentale oppure un placebo.

  • Per confrontare l’efficacia di un nuovo trattamento con il trattamento standard, uno studio può confrontare i risultati del nuovo trattamento con quelli del trattamento standard. Se necessario per mantenere il cieco, possono essere aggiunti dei placebo a entrambi i gruppi di trattamento.

In ciascuno degli approcci, le sostanze per ognuno dei trattamenti devono avere un aspetto identico per i partecipanti e, se lo studio è in doppio cieco, anche per il personale dello studio. Se il gruppo di trattamento riceve un liquido amaro di colore rosso, anche il gruppo di controllo deve ricevere un liquido amaro di colore rosso. Se il gruppo di trattamento riceve una soluzione incolore mediante iniezione, anche il gruppo di controllo deve ricevere un’iniezione simile.

Scelta di un disegno di sperimentazione clinica

Il tipo migliore di sperimentazione clinica incorpora tutti gli elementi di cui sopra, in modo che sia

  • Prospettico, ovvero i gruppi di trattamento e di controllo sono arruolati a uno studio prima che inizi e sono seguiti nel tempo

  • Randomizzato, ovvero i soggetti nella sperimentazione vengono assegnati in modo casuale a uno dei due gruppi di trattamento

  • Controllato con placebo, ovvero alcuni pazienti nella sperimentazione ricevono un placebo (un trattamento inattivo)

  • In doppio cieco, ovvero né i pazienti della sperimentazione né chi la conduce sanno chi riceve il trattamento e chi riceve un placebo

Questo disegno permette la determinazione più chiara dell’efficacia di un trattamento. Tuttavia, in alcune situazioni, potrebbe non essere realizzabile. Per esempio, con malattie molto rare, è spesso difficile trovare un numero sufficiente di soggetti per uno studio randomizzato. In queste situazioni spesso possono essere condotte sperimentazioni caso-controllo retrospettive.

Diversità

Affinché i risultati della sperimentazione siano applicabili al mondo reale, i partecipanti alla sperimentazione devono rappresentare tutta la popolazione affetta dalla malattia sotto indagine, comprese tutte le età, i generi, le razze, le etnie, gli stati socioeconomici e gli stili di vita. Un più preciso confronto tra soggetti con caratteristiche analoghe è spesso facilitato limitando i partecipanti allo studio a gruppi specifici. Tuttavia, le sperimentazioni cliniche i cui risultati sono maggiormente applicabili a tutta la popolazione reclutano un gruppo eterogeneo di partecipanti. Negli Stati Uniti, per esempio, le minoranze razziali ed etniche costituiscono quasi il 40% della popolazione. Uno studio che non possiede tale diversità potrebbe non avere alcuni fattori importanti. Per alcuni farmaci, la razza e il patrimonio genetico di un soggetto possono influenzare l’efficacia del farmaco. Per esempio, una carenza dell’enzima G6PD è più frequente negli uomini di origine africana, asiatica o mediterranea, e alcuni farmaci possono scatenare l’anemia emolitica nei soggetti con carenza di G6PD. Includendo soggetti di diverse provenienze, le sperimentazioni cliniche possono mostrare se i trattamenti siano sicuri e funzionino bene per soggetti appartenenti a diversi gruppi. Pur tuttavia, fattori come il livello socioeconomico, il livello di alfabetizzazione, l’accesso ai trasporti e la vicinanza al centro di studio possono rendere difficile reclutare una popolazione sufficientemente eterogenea.