Ultima modifica dei contenuti giu 2021
A cura di Matthew E. Levison, MD, Adjunct Professor of Medicine, Drexel University College of Medicine
14/2/2021
Una malattia del sistema multiorgano
I polmoni sono un obiettivo importante per il SARS-CoV-2. Tuttavia, SARS-CoV-2 causa anche lesioni a molti altri sistemi organici, come il cuore, i reni e il fegato. Comprendere che il COVID-19 è una malattia multiorgano è fondamentale per la sua gestione clinica.
Lo spettro della presentazione clinica del COVID-19 è ampio, da sintomi assenti o minimi a polmonite virale grave con insufficienza respiratoria, disfunzione del sistema multiorgano, sepsi e decesso. Fino al 40-45% dei soggetti infetti è asintomatico quando viene analizzato per il virus, molti di questi restano asintomatici, ma ciononostante diffondono il virus dal tratto respiratorio superiore e sono in grado di trasmettere il virus ad altri (1). Altri pazienti diventano sintomatici con un periodo di incubazione medio di circa 5 giorni, compreso tra 2 e 14 giorni, dopo l’esposizione (2).
Fortunatamente, circa l’80% dei soggetti infetti presenta una malattia lieve, che può essere gestita in regime ambulatoriale; il 15% con malattia più grave (dispnea, ipossia o >50% coinvolgimento polmonare in base agli esami di diagnostica per immagini) richiede il ricovero ospedaliero, mentre un altro 5% con malattia critica (insufficienza respiratoria, shock o disfunzione del sistema multiorgano) richiede il ricovero in UTI (3). Il tasso di mortalità del caso a livello globale è di circa il 4%, ma varia in base alle caratteristiche demografiche della popolazione locale. Tutte le età sono suscettibili alle infezioni, ma la gravità e il rischio di decesso sono accresciuti negli anziani, nei poveri, nelle popolazioni nere e latino-americane, e nei soggetti con alcune comorbilità preesistenti, come obesità, diabete, ipertensione e malattie polmonari e cardiovascolari.
Alcuni soggetti infetti, completamente asintomatici, possono tuttavia presentare una bassa saturazione di ossigeno nel sangue, chiamata “ipossia silente”, e possono presentare evidenza di coinvolgimento polmonare alla diagnostica per immagini toracica quando questi studi vengono eseguiti, ad esempio: quando il paziente viene visitato in un Pronto soccorso per un problema non correlato come un trauma (4). L’ipercapnia (elevati livelli di CO2 nel sangue) è rara in questi pazienti, il che potrebbe spiegare perché i pazienti con COVID-19 potrebbero non lamentare respiro affannoso fino a quando la malattia polmonare non è di gran lunga avanzata e l’ipossia è grave.
Febbre, brividi, affaticamento, tosse secca, anoressia, mialgia, diarrea e produzione di espettorato sono sintomi comuni. Sono inoltre comunemente riportate perdita dell’olfatto (anosmia) e del gusto (disgeusia). Sono meno comuni mal di gola, congestione nasale e rinorrea. Alcuni soggetti rimangono afebbrili. Altri presentano sintomi lievi per 8-9 giorni, fino all’insorgenza improvvisa o al peggioramento del respiro affannoso (dispnea) che induce una visita al Pronto soccorso. Potrebbe essere necessario un supporto ventilatorio poco dopo l’insorgenza della dispnea (media: 2,5 giorni).
Il coinvolgimento cardiaco è indicato da livelli elevati di troponina e anomalie negli elettrocardiogrammi e nelle ecografie cardiache (5). L’infezione da SARS-CoV-2 può destabilizzare placche aterosclerotiche coronariche precedentemente asintomatiche o causare la formazione di coaguli di sangue nei vasi coronarici, con conseguente ostruzione del flusso sanguigno arterioso coronarico. La miocardite dovuta a SARS-CoV-2 è stata sospettata ma non dimostrata con la biopsia. non è stata finora descritta. Sebbene i primi rapporti suggerissero che i pazienti con COVID-19 presentavano un’alta incidenza di arresti cardiaci e aritmie, uno studio di 700 pazienti consecutivi ricoverati presso l’Ospedale dell’Università della Pennsylvania nell’arco di 9 settimane ha concluso che le aritmie cardiache erano probabilmente dovute a malattie sistemiche e non solo agli effetti diretti dell’infezione da COVID-19 (6).
Alcuni pazienti sviluppano proteinuria e insufficienza renale acuta. Circa il 15-30% dei pazienti con COVID-19 in UTI necessita di terapia sostitutiva renale. All’esame post-mortem, è stata osservata una lesione tubulare acuta prossimale all’istologia renale, con particelle simili a coronavirus nel citoplasma dell’epitelio tubulare prossimale e dei podociti, punti di espressione ACE2 noti (7). Il coinvolgimento epatico è indicato da livelli elevati di alanina aminotransferasi e aspartato aminotransferasi nel siero.
Il COVID-19 è spesso complicato da una coagulopatia, con livelli elevati di D-dimero, ma a differenza della coagulazione intravascolare disseminata (disseminated intravascular coagulation, DIC) associata a sepsi, un sanguinamento significativo è insolito, il tempo di protrombina e il tempo di tromboplastina parziale sono normali o lievemente prolungati, il livello di fibrinogeno è spesso aumentato e la conta piastrinica è normale o lievemente ridotta (8, 9, 10). I rapporti descrivono un’alta frequenza di tromboembolia venosa e patologia polmonare che mostra una trombosi microvascolare marcata collegata a un’estesa infiammazione alveolare e interstiziale, il che suggerisce che la coagulazione stia contribuendo all’insufficienza respiratoria in questi pazienti.
La compromissione neurologica è comune nel COVID-19. Uno studio nazionale nel Regno Unito ha riscontrato che i pazienti con COVID-19 avevano ricevuto una diagnosi di stato mentale alterato, psicosi di nuova insorgenza, compromissione neurocognitiva (simile alla demenza) e disturbo affettivo (11). Sono stati segnalati anche pazienti con encefalite e positività alla PCR di LCS per SARS-CoV-2 (12) ed encefalopatia necrotizzante acuta (13). Il COVID-19 può causare ictus ischemico; tali pazienti sono risultati più giovani, presentavano sintomi peggiori e avevano una probabilità almeno sette volte maggiore di morire rispetto alle persone che avevano un ictus non associato al COVID-19 (14). I pazienti che necessitano di ventilazione meccanica prolungata e/o di degenze in UTI possono manifestare sintomi quali affaticamento cronico, alterazione della capacità cognitiva, DSPT e disturbi affettivi.
La linfopenia è il risultato di laboratorio più comune nei pazienti ricoverati con COVID-19 ed è stata associata a malattia grave. Il marcato aumento della ferritina sierica si verifica in pazienti con COVID-19 grave, complicato da “tempesta citochinica”, definita dal rilascio eccessivo e incontrollato di citochine proinfiammatorie (IL-2, IL-6, IL-10 e TNF-α) e marcatori infiammatori come la proteina C-reattiva e la sedimentazione eritrocitaria. La “tempesta citochinica” nel COVID-19 appare più avanti nel decorso ospedaliero dopo un miglioramento clinico iniziale ed è associata a un peggioramento del danno ai polmoni, insufficienza multiorgano e prognosi sfavorevole.
Sintomi COVID-19 nei bambini
La maggior parte dei bambini sono asintomatici o mostrano sintomi lievi quando infetti da COVID-19, ma alla fine di aprile 2020, si è notato che alcuni bambini presentavano per la prima volta quella che è diventata la cosiddetta sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini (multisystem inflammatory syndrome in children, MIS-C), una nuova presentazione di COVID-19, che presenta alcune caratteristiche simili alla malattia di Kawasaki (ma, a differenza della malattia di Kawasaki, si verifica in un gruppo di età più avanzata), la sindrome da shock tossico stafilococcico e streptococcico, sepsi batterica e sindromi da attivazione dei macrofagi (15).
I bambini colpiti (dai 2 ai 16 anni d’età) presentano febbre prolungata, affaticamento, mal di gola, cefalea, dolore addominale e vomito, con coinvolgimento multiorgano (ad es.: cardiaco, gastrointestinale, renale, ematologico, dermatologico, neurologico), che progredisce rapidamente fino a shock e disfunzione d’organo. Uno studio in Inghilterra ha incluso 58 pazienti con MIS-C e ha riscontrato che tutti i bambini presentavano febbre e sintomi non specifici che includevano dolore addominale, diarrea, vomito, eruzione cutanea e iniezione congiuntivale, ciascuno dei quali si è verificato in circa il 50% dei pazienti (16). A differenza degli adulti con COVID-19, solo un terzo presenta sintomi respiratori. La maggior parte presenta disfunzione sistolica ventricolare sinistra e alcuni presentano dilatazione o aneurismi dell’arteria coronaria. I risultati di laboratorio evidenziano livelli elevati di proteina C-reattiva (PCR), ferritina, linfopenia e D-dimero elevati e alcuni presentano livelli elevati di troponina e peptide natriuretico cerebrale (brain natriuretic peptide, BNP), suggerendo una lesione cardiaca. Alcuni presentano livelli elevati di creatinina sierica. Alcuni richiedono supporto circolatorio o respiratorio o raramente ossigenazione della membrana extracorporea.
All’8 gennaio 2021, negli Stati Uniti sono stati osservati 1.659 casi che soddisfacevano la definizione dei casi per MIS-C, con 26 decessi; il 99% dei casi è risultato positivo per SARS-CoV-2, con il restante 1% esposto a qualcuno con COVID-19. La maggior parte dei bambini ha sviluppato MIS-C da 2 a 4 settimane dopo l’infezione da SARS-CoV-2 e più del 70% dei casi si è verificato in bambini ispanici o latino-americani, o neri non ispanici (17).
La maggior parte dei pazienti ha ricevuto un trattamento con immunoglobuline per via endovenosa e alcuni sono stati trattati con steroidi per via endovenosa ed eparina. I test sierologici devono essere eseguiti prima della somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa (intravenous immunoglobulin, IVIG) o di qualsiasi altro trattamento anticorpale esogeno.
I pazienti di età inferiore a 21 anni che soddisfano i criteri MIS-C dei CDC (18) devono essere segnalati al dipartimento sanitario locale, statale o territoriale. I criteri MIS-C dei CDC sono:
Sequele a lungo termine del COVID-19
Il COVID-19 è solitamente una malattia a breve termine. I soggetti con sintomi lievi solitamente guariscono in circa 2 settimane, mentre quelli con malattia grave o critica guariscono in 3-6 settimane. Tuttavia, in alcuni pazienti i sintomi debilitanti persistono per settimane o addirittura mesi. In alcuni di questi pazienti, i sintomi non sono mai scomparsi.
Molti studi hanno documentato danni permanenti a molti organi o sistemi, tra cui polmoni, cuore, cervello, reni e sistema vascolare, in pazienti con infezione da SARS-CoV-2. Il danno sembra essere causato da risposte infiammatorie gravi, microangiopatia trombotica, tromboembolia venosa e deprivazione di ossigeno. È stato documentato che il danno organico persiste nei polmoni, nel cuore, nel cervello e nei reni, anche in alcuni soggetti che presentavano inizialmente solo sintomi lievi. Il ritmo lento del recupero spiega facilmente la durata di quella che è stata chiamata la “sindrome post-COVID”. Alcuni soggetti possono anche soffrire di sindrome post-intensiva, un gruppo di sintomi che a volte si manifestano in pazienti che erano in un’unità di terapia intensiva e che implica debolezza muscolare, problemi di equilibrio, declino cognitivo e disturbi della salute mentale osservati dopo le dimissioni dalla terapia intensiva che solitamente comportava un periodo prolungato di ventilazione meccanica (19).
La persistenza dei sintomi si è verificata anche dopo un’infezione da un altro coronavirus, SARS-CoV-1, il virus che ha causato l’epidemia di sindrome respiratoria acuta grave (severe acute respiratory syndrome, SARS) nel 2002–2003. I sintomi persistenti assomigliano alla sindrome da stanchezza cronica/encefalomielite mialgica (chronic fatigue syndrome/myalgic encephalomyelitis, CFS/ME). Affaticamento persistente, dolore muscolare, depressione e sonno disturbato hanno impedito a pazienti con SARS di Toronto, la maggior parte dei quali erano operatori sanitari, di tornare al lavoro fino a 20 mesi dopo l’infezione (20). Il 40% dei 233 sopravvissuti alla SARS a Hong Kong è stato segnalato come affetto da affaticamento cronico dopo circa 3-4 anni e il 27% ha soddisfatto i criteri delineati dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) per CFS/ME (21). Molti sono rimasti disoccupati e hanno subito una stigmatizzazione sociale (22).
La malattia simile a CFS/ME, in cui alcune persone migliorano rapidamente ma altre rimangono ammalate per periodi prolungati, ha seguito molte altre malattie infettive. Gli esempi includono influenza, infezione da virus di Epstein-Barr (mononucleosi infettiva—23), brucellosi, febbre Q (infezione da Coxiella burnetii—24), infezione da virus Ebola (25) e infezione da virus Ross River (26).
Si dice inoltre che la malattia persistente in seguito a COVID-19 sia simile a CFS/ME (27), e che le persone con sindrome post-COVID-19 si siano denominate “long-haulers” (a lungo termine). Tuttavia, non esiste un quadro chiaro di ciò che costituisce la sindrome post-COVID-19. Senza una definizione formalmente accettata di sindrome post-COVID-19, è difficile valutare quanto sia comune, quanto dura, chi è a rischio, cosa la causa, qual è la sua fisiopatologia e come trattarla e prevenirla. Tuttavia, diversi studi stanno ora iniziando a definire questo gruppo di pazienti.
I CDC hanno condotto un’indagine telefonica multistato ad aprile e giugno 2020 su adulti non ricoverati che presentavano un test positivo della reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa (reverse transcription–polymerase chain, RT-PCR) per l’infezione da SARS-CoV-2 (28). Agli intervistati sono state poste domande sulle caratteristiche demografiche, sulle condizioni mediche croniche al basale, sui sintomi presenti al momento del test, se tali sintomi si erano risolti entro la data del colloquio e se erano tornati al loro stato di salute abituale al momento del colloquio. Dei 274 intervistati sintomatici al momento del test PCR, circa un terzo ha riferito di non essere tornato allo stato di salute abituale quando intervistato 2-3 settimane dopo il test. Dei soggetti più giovani, di età compresa tra 18 e 34 anni, senza condizioni mediche croniche, il 20% non era tornato al normale stato di salute. Tuttavia, l’età avanzata e la presenza di molteplici condizioni mediche croniche erano associate più comunemente a malattia prolungata, che era presente nel 26% dei soggetti di età compresa tra 18 e 34 anni, nel 32% dei soggetti di età compresa tra 35 e 49 anni e nel 47% dei soggetti di età pari o superiore a 50 anni. I sintomi più frequentemente riportati erano affaticamento (71%), tosse (61%) e cefalea (61%). Questi risultati indicano che la COVID-19 può portare a una malattia prolungata anche tra le persone con una malattia ambulatoriale più lieve, compresi i giovani adulti. Questo risultato è particolarmente preoccupante, in quanto le epidemie stanno emergendo nei campus universitari.
In un altro studio a Roma, in Italia, su 143 pazienti (età media: 57 anni) dopo circa 2 settimane di ricovero ospedaliero per COVID-19, molti pazienti avevano ancora difficoltà con i sintomi 60 giorni in media dopo l’insorgenza della malattia; l’87% aveva ancora almeno un sintomo e il 55% aveva 3 o più sintomi (23). La qualità della vita era peggiorata del 44%, con affaticamento (53,1%), difficoltà respiratorie (43%), dolore articolare (27%) e dolore toracico (22%) che persistevano in molti casi. Nessuno aveva febbre o segni o sintomi di malattia acuta.
Molte informazioni, tuttavia, che caratterizzano i dati demografici, il decorso temporale e la sintomatologia della sindrome post-COVID-19 sono state generate e analizzate da parte degli stessi “long-haulers” appartenenti al Body Politic COVID-19 Support Group online e che hanno esperienza nella ricerca, nel disegno del sondaggio e nell’analisi dei dati. Il sondaggio online che hanno sviluppato e mirato a coloro i cui sintomi persistevano per oltre 2 settimane ha ricevuto 640 risposte dal 21 aprile al 2 maggio 2020 (29).
Gli intervistati erano prevalentemente giovani (63% tra i 30 e i 49 anni di età), caucasici (77%) e di sesso femminile (77%) e vivevano negli Stati Uniti (72%) o nel Regno Unito (13%). La maggior parte non è mai stata ricoverata o, se ricoverata, non è mai stata ricoverata in UTI o sottoposta a ventilazione meccanica, quindi i casi sono stati tecnicamente considerati “lievi”. Molti sono stati visitati in un Pronto soccorso/guardia medica, ma non sono stati ricoverati. Sono stati inclusi tutti gli intervistati, indipendentemente dallo stato del test RT-PCR per SARS-CoV-2. In circa il 25%, il test RT-PCR è risultato positivo; ma quasi il 50% dei partecipanti non è mai stato sottoposto a test in quanto, durante quei mesi (marzo e aprile 2020), il test era spesso limitato alle persone ricoverate in ospedale con gravi problemi respiratori, i loro sintomi sono stati ritenuti “classici”, rendendo inutile l’analisi in un momento in cui i kit di test PCR erano in scorta insufficiente, o il test è stato negato perché i loro sintomi non corrispondevano ai criteri preimpostati.
Un altro 25% degli intervistati è risultato negativo, ma un risultato negativo non significa che queste persone non avessero il COVID-19. Alcuni test negativi erano probabilmente risultati falsi negativi, che si verificano fino al 30% delle volte (30). Altri sono stati testati relativamente tardi nel corso della malattia, in un momento in cui il virus potrebbe non essere più rilevabile (31). Nel sondaggio, gli intervistati con risultati negativi del test RT-PCR sono stati testati una settimana più tardi rispetto a quelli con risultati positivi del test.
I sintomi segnalati erano diversificati e interessavano il tratto respiratorio e il sistema neurologico, cardiovascolare, gastrointestinale e vari altri sistemi. I primi 10 sintomi, riferiti dal 70% o più degli intervistati, includevano respiro affannoso, costrizione toracica, affaticamento, brividi o sudorazione, dolori corporei, tosse secca, “temperatura elevata” (da 37 a 37,7 °C), cefalea e annebbiamento mentale/difficoltà di concentrazione. Il 40-50% degli intervistati ha riferito un forte affaticamento al punto da impedire di alzarsi dal letto, forte cefalea, febbre (superiore a 37,8 °C) e perdita di gusto o olfatto. Il settanta per cento (70%) ha manifestato fluttuazioni nel tipo e l’89% nell’intensità dei sintomi nel corso della sintomatologia. Alcuni pazienti hanno notato che i sintomi si ripresentavano o si intensificavano con l’attività fisica o erano più forti la sera. Il 70% circa era fisicamente in forma prima dell’insorgenza dei sintomi, ma il 70% ha riferito di essere sedentario dopo l’insorgenza dei sintomi.
In media, circa il 10% degli intervistati si è ripreso in circa 4 settimane. Il 90% dei pazienti che non si era ripreso ha manifestato sintomi per una media di 40 giorni. Un’ampia percentuale di intervistati ha manifestato sintomi per 5-7 settimane. Si è stimato che la probabilità di recupero completo entro il giorno 50 fosse inferiore al 20%.
I risultati di sondaggi come questo, tuttavia, sono soggetti a disparità. I partecipanti ai sondaggi potrebbero differire dai non partecipanti; ad esempio: potrebbe essersi verificata una disparità di genere in quanto le donne potrebbero più probabilmente unirsi ai gruppi di supporto e completare sondaggi online; i pazienti con malattia più grave potrebbero non essere in grado di rispondere o non essere in grado di ricordare gli eventi in modo accurato. I sondaggi online possono anche essere orientati verso intervistati più agiati, più giovani e più esperti di computer e omettere minoranze economicamente svantaggiate, i senzatetto, coloro che non dispongono di accesso a banda larga e computer e coloro che temono di rispondere, come i migranti senza documenti.
Da quando ha pubblicato il rapporto, il team del Body Politic COVID-19 Support Group ha incontrato il personale dei Centers for Disease Control and Prevention e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (32) e ha pubblicato un secondo sondaggio per colmare le lacune nel primo rapporto; esaminare i risultati dei test anticorpali, i sintomi neurologici e il ruolo della salute mentale; e aumentare la diversità geografica e demografica (33).
Molti “long-haulers” riferiscono che i sintomi persistenti vengono sminuiti. Viene detto loro che forse stanno esagerando, immaginando o addirittura inventando la loro malattia che cambia la vita. Per alcuni, praticare semplici attività fisiche, come alzarsi dal letto, prendersi cura di sé, preparare pasti semplici e fare la doccia, può essere estenuante. Essere incapaci di prendersi cura di se stessi e delle proprie famiglie, non essere in grado di lavorare e perdere reddito e non usufruire possibilmente di un’assicurazione sanitaria fornita dal datore di lavoro comportano ulteriori oneri. I pianificatori della sanità e i responsabili politici devono prepararsi a soddisfare le esigenze delle molte persone che sono state colpite da questa malattia e delle loro famiglie mentre gli studi in corso esaminano le cause e i modi per mitigare la sindrome post-COVID.
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