Infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV) nel lattante e nel bambino

DiGeoffrey A. Weinberg, MD, Golisano Children’s Hospital
Revisionato/Rivisto mar 2023
Visualizzazione l’educazione dei pazienti

L'infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV) è causata dal retrovirus HIV-1 (e meno comunemente dall'analogo retrovirus HIV-2). L'infezione provoca un progressivo deterioramento dello stato immunologico con conseguenti infezioni opportunistiche e neoplasie. Lo stadio terminale è la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). La diagnosi si basa sulla rilevazione degli anticorpi anti-HIV nei bambini di età 18 mesi e sui test di amplificazione degli acidi nucleici virologici (come il test della PCR [Polymerase Chain Reaction]) nei bambini di età 18 mesi. Il trattamento consiste nella combinazione di farmaci antiretrovirali.

(Vedi anche Infezione da virus dell'immunodeficienza umana (HIV) negli adulti.)

La storia naturale e la fisiopatologia dell'infezione da HIV in età pediatrica sono analoghe a quelle dell'età adulta; tuttavia, le modalità di infezione, le manifestazioni cliniche e la terapia sono spesso differenti.

Inoltre, i bambini con infezione da HIV possono andare incontro a problemi di integrazione sociale senza eguali.

Riferimenti generali

  1. ClinicalInfo.HIV.gov/Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV: Guidelines for the Use of Antiretroviral Agents in Pediatric HIV Infection

  2. Weinberg GA, Siberry GK: Pediatric human immunodeficiency virus infection. In Mandell, Douglas, and Bennett’s Principles and Practice of Infectious Diseases, 9th ed., edited by JE Bennett, R Dolin, and MJ Blaser. Philadelphia, Elsevier, 2020, pp. 1732–1738.

Epidemiologia dell'infezione da HIV nei lattanti e nei bambini

Negli Stati Uniti, sin dalla prima volta che è stata diagnosticata l'infezione da HIV, sono stati segnalati più di 10 000 casi in bambini e giovani adolescenti, ma questo numero rappresenta solo l'1% del totale dei casi. Nel 2019, sono stati diagnosticati < 60 nuovi casi in bambini di età < 13 anni di età (1).

Più del 95% dei bambini con infezione da HIV negli Stati Uniti ha contratto l'infezione dalla madre, attraverso la trasmissione prenatale o perinatale (chiamata anche trasmissione verticale o trasmissione da madre a figlio). La maggior parte dei casi rimanenti (inclusi i bambini con emofilia o altre coagulopatie) ha ricevuto sangue o emoderivati contaminati. Alcuni casi sono stati dovuti ad abusi sessuali.

La trasmissione da madre a figlio è diminuita significativamente negli Stati Uniti da circa il 25% nel 1991 (con > 1600 bambini infetti ogni anno) a ≤ 1% nel 2019 (con circa 50 bambini infettati ogni anno). La trasmissione da madre a figlio è stata ridotta utilizzando uno screening sierologico globale e trattando le donne sieropositive gravide, sia durante la gravidanza che durante il parto e fornendo profilassi antiretrovirale a breve termine ai neonati esposti. Circa 3000-5000 donne incinte con infezione da HIV partoriscono ogni anno negli Stati Uniti, quindi l'attenzione alla prevenzione della trasmissione familiare continua a essere fondamentale per prevenire l'infezione da HIV nei neonati e nei bambini.

Anche se il numero di bambini infettati ogni anno è diminuito, il numero totale di adolescenti e giovani adulti negli Stati Uniti (da 13 a 24 anni di età) con infezione da HIV continua ad aumentare nonostante il marcato successo nella riduzione dell'infezione perinatale da HIV. Nel 2019, sono stati diagnosticati circa 36 000 nuovi casi di infezione da HIV negli Stati Uniti; il 20% di questi era composto da adolescenti e giovani adulti dai 13 ai 24 anni (la maggior parte dei quali aveva 18 anni o più) (1). Questo aumento paradossale del numero di bambini e adolescenti con infezione da HIV è il risultato sia della maggiore sopravvivenza dei bambini contagiati nel periodo perinatale sia dei nuovi casi di infezione da HIV acquisita per via sessuale negli altri adolescenti e giovani adulti (in particolare, tra giovani maschi omosessuali). Ridurre la trasmissione dell'HIV tra i giovani maschi omosessuali continua a rappresentare un punto chiave nell'ambito degli sforzi per il controllo della diffusione a livello nazionale del virus, così come lo è il continuare a ridurre la trasmissione da madre a figlio.

Nel mondo, nel 2021, circa 1,7 milioni di bambini < 14 anni avevano un'infezione da HIV (4% del carico totale in tutto il mondo) (2). Ogni anno, circa 160 000 bambini vengono contagiati (10% di tutte le nuove infezioni) e circa 100 000 bambini muoiono.

Anche se questi numeri dipingono un quadro scoraggiante della malattia, negli ultimi anni nuovi programmi creati per fornire la terapia antiretrovirale alle donne in gravidanza e ai bambini hanno ridotto il numero all'anno di nuove infezioni pediatriche e le morti in età pediatrica dal 33% al 50% (1). Tuttavia, i bambini infetti continuano a non ricevere la terapia antiretrovirale quasi come gli adulti, e interrompere la trasmissione verticale e fornire il trattamento ai bambini con infezione da HIV rimangono i due più importanti obiettivi della medicina pediatrica che si occupa di HIV.

Riferimenti epidemiologici

  1. 1. Centers for Disease Control and Prevention: HIV Surveillance Report, 2020. Vol. 33. Published May 2022. Consultato il 29/11/2022.

  2. 2. UNAIDS: Global HIV & AIDS statistics—Fact sheet. Consultato il 19/12/2022.

Trasmissione dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini

Il rischio di infezione per un neonato nato da una madre con infezione da HIV che non ha ricevuto la terapia antiretrovirale durante la gravidanza è stimato al 25%.

I fattori di rischio per la trasmissione da madre a figlio comprendono

  • Sieroconversione durante la gravidanza o l'allattamento (fattore di rischio maggiore)

  • Concentrazione plasmatica elevata di RNA virale (fattore di rischio maggiore)

  • Malattia materna avanzata

  • Conta dei linfociti T CD4+ periferici materni bassi

La rottura prolungata delle membrane non è più considerata un importante fattore di rischio.

Il parto cesareo prima dell'inizio del travaglio attivo riduce il rischio di trasmissione dell'infezione da madre a figlio. Tuttavia, è evidente che la trasmissione madre-figlio può essere significativamente ridotta somministrando una terapia antiretrovirale combinata, che di solito comprende la somministrazione di zidovudina (ZDV) alla madre e al neonato (vedi Prevenzione dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini). La monoterapia con zidovudina (ZDV) riduce la trasmissione madre-figlio dal 25 all'8% circa, e l'attuale terapia antiretrovirale combinata riduce il rischio a ≤ 1%.

L'HIV è stato identificato sia nella frazione cellulare che in quella acellulare del latte materno. La stima del rischio globale di trasmissione attraverso l'allattamento materno è del 12-14%, a seconda della diversa durata dell'allattamento al seno. La trasmissione mediante l'allattamento al seno è maggiore nelle madri con elevate concentrazioni plasmatiche di RNA virale (p. es., le donne che diventano sieropositive durante la gravidanza o durante il periodo dell'allattamento).

All'inizio della pandemia dell'HIV, l'HIV è stato trasmesso ai bambini da emoderivati contaminati (p. es., sangue intero o componenti ematici cellulari o plasmatici come globuli rossi concentrati, immunoglobuline per via endovenosa); tuttavia, la trasmissione attraverso questa via non si verifica più quando i prodotti ematici sono sottoposti a screening per l'HIV (e, nel caso di immunoglobuline, preparate anche con fasi di inattivazione virale).

La trasmissione dell'HIV tramite l'attività sessuale degli adolescenti è simile a quella degli adulti (vedi Trasmissione dell'infezione da HIV negli adulti).

Classificazione dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini

L'infezione da HIV causa un ampio spettro di manifestazioni cliniche, delle quali l'AIDS è la più grave. Gli schemi precedenti di classificazione stabiliti dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) definivano la progressione del declino immunologico e clinico. Queste categorie cliniche e immunologiche stanno diventando sono molto meno rilevanti nell'era della terapia antiretrovirale combinata poiché quando la terapia antiretrovirale viene assunta come prescritto, diminuisce quasi invariabilmente i sintomi e aumenta la conta delle cellule T CD4+. Tuttavia, la stadiazione immunologica basata sulla conta delle cellule T CD4+ rimane utile per pianificare la profilassi opportunistica dei patogeni.

Le categorie cliniche per i bambini < 13 anni sono disponibili presso ClinicalInfo.HIV.gov's Appendix C: CDC Pediatric HIV CD4 Cell Count/Percentage and HIV-Related Diseases Categorization e stanno nella tabella Categorie immunologiche (fasi di infezione da HIV) per i bambini < 13 anni con infezione da HIV in base alla conta o alla percentuale di cellule T CD4+ specifiche per età. Nei lattanti e nei bambini, l'infezione da HIV e la malattia possono progredire più rapidamente rispetto agli adolescenti e agli adulti.

Tabella

Sintomatologia dell'HIV nel lattante e nel bambino

Bambini che ricevono la terapia antiretrovirale combinata

La terapia antiretrovirale combinata ha notevolmente modificato le manifestazioni cliniche dell'infezione da HIV in età pediatrica. Sebbene la polmonite, così come altre infezioni batteriche (p. es., batteriemia, otite media ricorrente), continui a verificarsi di più nei bambini con infezione da HIV, le infezioni opportunistiche e la scarsa crescita sono molto meno frequenti che in epoca pre-terapia antiretrovirale. Sono stati riportati, invece, nuovi problemi, come per esempio alterazioni dei lipidi sierici, iperglicemia, alterata distribuzione corporea dell'adipe (lipodistrofia e lipoatrofia), nefropatia, e osteonecrosi; tuttavia l'incidenza è inferiore nei bambini rispetto agli adulti con infezione da HIV.

Sebbene la terapia antiretrovirale combinata migliori chiaramente la prognosi dello sviluppo neurologico, nei bambini sieropositivi in trattamento sembra che si verifichi un'aumentata incidenza di problemi comportamentali, di sviluppo e cognitivi. Non è chiaro se questi problemi siano causati dalla stessa infezione da HIV, dai farmaci, o da altri fattori biopsicosociali che si verificano tra i bambini con infezione da HIV. Non è noto se eventuali altri effetti aggiuntivi dell'infezione da HIV o della terapia antiretrovirale durante periodi critici della crescita e dello sviluppo si manifesteranno successivamente nel corso della vita. Tuttavia, tali effetti non sono stati osservati in bambini con infezione perinatale che sono stati trattati con terapia antiretrovirale e adesso sono dei giovani adulti. Per rilevare tali effetti avversi, i sanitati dovranno monitorare i bambini con infezione da HIV nel tempo.

Storia naturale nei bambini non trattati

I lattanti che contraggono l'infezione nel periodo perinatale di solito sono asintomatici nei primi mesi di vita, anche se non viene iniziata la terapia antiretrovirale combinata. Sebbene l'età mediana dell'esordio dei sintomi sia di circa 3 anni, alcuni bambini restano asintomatici per > 5 anni e, con adeguata terapia antiretrovirale, ci si aspetta che sopravvivano fino all'età adulta.

Nell'era pre-terapia antiretrovirale, il 10-15% circa dei bambini mostrava una rapida progressione di malattia con comparsa dei sintomi nel primo anno di vita e morte tra i 18 e i 36 mesi; si riteneva che questi bambini avessero contratto l'infezione da HIV più precocemente in utero. Tuttavia, la maggior parte dei bambini probabilmente contrae l'infezione alla nascita o nel periodo perinatale e manifesta una progressione di malattia più lenta (sopravvivendo oltre i 5 anni anche prima dell'introduzione della terapia antiretrovirale).

Nei neonati che non ricevono terapia antiretrovirale, le manifestazioni della malattia comprendono un ritardo di crescita, problemi neurologici (p. es., perdita o ritardo delle capacità motorie, irritabilità, scarsa crescita della testa) e polmonite da Pneumocystis.

I bambini più grandi che non ricevono terapia antiretrovirale hanno frequentemente otiti medie ricorrenti, sinusite, polmonite batterica, batteriemia, herpes zoster e polmonite interstiziale linfoide. I bambini più grandi e gli adolescenti la cui malattia si manifesta nella tarda infanzia (chiamati progressori lenti o non-progressori) possono presentare linfoadenopatia generalizzata persistente, candidosi esofagea e linfoma cerebrale o di altri siti, che è simile alle manifestazioni negli adulti che non ricevono terapia antiretrovirale.

Tutte queste manifestazioni, comprese le infezioni opportunistiche, si verificano solo raramente nelle persone che ricevono una terapia antiretrovirale combinata.

Complicanze dell'HIV nei bambini

Quando si verificano le complicanze, queste sono in genere legate alle infezioni opportunistiche (e raramente a tumori). La terapia antiretrovirale combinata ha reso rare tali infezioni, che oggi si verificano soprattutto nei bambini non diagnosticati che non hanno ancora ricevuto la terapia antiretrovirale o in bambini che non assumono con costanza la terapia antiretrovirale.

Quando si verificano le infezioni opportunistiche, la polmonite da Pneumocystis jirovecii è la più comune e grave e ha un'elevata mortalità. La polmonite da Pneumocystis può verificarsi già a 4-6 settimane di vita, ma è più frequente nei lattanti di età compresa tra 3 e 6 mesi che hanno contratto l'infezione prima o al momento della nascita. I lattanti e i bambini più grandi con polmonite da Pneumocystis sviluppano tipicamente una polmonite subacuta, diffusa, con dispnea a riposo, tachipnea, desaturazione dell'ossigeno, tosse non produttiva e febbre (diversamente dai bambini e dagli adulti immunodepressi che non hanno contratto l'infezione da HIV, in cui l'esordio è spesso più acuto e fulminante).

Altre infezioni opportunistiche nei bambini immunodepressi comprendono: esofagite da Candida, infezione da cytomegalovirus disseminata, infezione cronica o disseminata da virus herpes simplex e infezione da virus varicella e, meno comunemente, infezioni da Mycobacterium tuberculosis e M. avium complex, enterite cronica causata da Cryptosporidium o altri patogeni, e infezione disseminata o a carico del sistema nervoso centrale da Criptococco o infezione da Toxoplasma gondii.

Le neoplasie nei bambini immunocompromessi con infezione da HIV sono relativamente insolite, ma i leiomiosarcomi e alcuni linfomi, come i linfomi del sistema nervoso centrale e i linfomi non-Hodgkin a cellule B (tipo Burkitt), sono molto più frequenti che nei bambini immunocompetenti. Il sarcoma di Kaposi è molto raro nei bambini con infezione da HIV. (Vedi Tumori comuni tra i pazienti con infezione da HIV.)

Diagnosi dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini

  • Ricerca degli anticorpi sierici

  • Test virologici degli acidi nucleici (comprendono il dosaggio dell'RNA/DNA dell'HIV o dell'RNA dell'HIV)

Test HIV-specifici

I bambini < 18 mesi trattengono gli anticorpi materni, causando risultati falsi positivi anche con il dosaggio immunoenzimatico antigene/anticorpo HIV-1/2 di 4a generazione. Pertanto, in questi bambini, la diagnosi deve essere fatta da test virologici per l'HIV o test per gli acidi nucleici noti collettivamente, come test qualitativi di RNA o RNA/DNA. I più recenti test in tempo reale RNA o RNA/DNA possono essere utilizzati per diagnosticare circa il 30-50% dei casi alla nascita e quasi il 100% dei casi da 4 a 6 mesi di età, compresi i bambini con ceppi non-sottotipo B e quelli del gruppo O dell'HIV comunemente presenti al di fuori degli Stati Uniti. La coltura del virus dell'HIV ha sensibilità e specificità accettabili, ma è stata sostituita dai test basati sugli acidi nucleici perché è tecnicamente più impegnativa e rischiosa. (Vedi anche ClinicalInfo.HIV.gov's Diagnosis of HIV Infection in Infants and Children.)

Nei bambini > 18 mesi, la diagnosi di infezione da HIV viene effettuata utilizzando una serie di test: un test sierico immunoenzimatico di 4a generazione per antigene/anticorpi dell'HIV-1/2, seguito da un test di differenziazione degli anticorpi HIV-1/2 di 2a generazione, e, se necessario, un test qualitativo dell'RNA per HIV-1. Questo algoritmo diagnostico ha soppiantato il precedente test sequenziale con immunoanalisi del siero e conferma con Western blot. Molto raramente un bambino sieropositivo più grande può essere privo di anticorpi anti-HIV a causa della presenza di una significativa ipogammaglobulinemia.

Il dosaggio quantitativo dell'RNA dell'HIV è in genere usato per determinare la carica virale plasmatica dell'HIV per monitorare l'efficacia del trattamento. Può anche essere utilizzato per i test diagnostici del bambino; tuttavia, bisogna fare attenzione perché la specificità del test è incerta a concentrazioni molto basse di RNA (< 5000 copie/mL), inoltre la sensibilità è sconosciuta nei neonati di madri con soppressione virale mediata dal trattamento completa al momento del parto.

Test rapidi al punto di cura possono essere effettuati usando test rapidi immunologici rapidi per anticorpi HIV poiché questi test possono fornire risultati in minuti o ore su secrezioni orali, sangue intero o siero. Negli Stati Uniti questi test sono molto utili nelle sale di travaglio o di parto per diagnosticare le donne la cui sierologia HIV è ignota, consentendo quindi di eseguire una consulenza perinatale e iniziare la terapia antiretrovirale per prevenire la trasmissione madre-figlio, e organizzare al meglio la valutazione del neonato con test basati sugli acidi nucleici al momento della visita alla nascita. Questi test hanno vantaggi simili in altre situazioni assistenziali (p. es., reparti di emergenza, cliniche di medicina per adolescenti, cliniche per le infezioni a trasmissione sessuale) e in aree del mondo con scarsità di servizi medici.

Tuttavia, i test rapidi tipicamente richiedono un test di conferma, come un secondo esame antigene/anticorpo, un'analisi di differenziazione degli anticorpi HIV-1/2 o un test basato sugli acidi nucleici. Questi test di conferma sono particolarmente importanti perché nelle zone dove la prevalenza attesa di HIV è bassa, anche un test rapido specifico produce risultati falsi positivi (basso valore predittivo positivo al teorema di Bayes). Maggiore è la probabilità pre-test dell'HIV (ossia, di sieroprevalenza), maggiore è il valore predittivo positivo del test.

Dal momento che più laboratori sono in grado di eseguire test in giornata utilizzando saggi immunologici di combinazione antigene/anticorpi HIV-1/2 di quarta generazione, vi sarà meno necessità di immunodosaggi rapidi comparativamente meno sensibili e meno specifici. Anche in questo caso, né i test immunologici rapidi, né i test per l'antigene/anticorpo HIV1/2 di 4a generazione sono abbastanza sensibili per la diagnosi di HIV in un bambino < 18 mesi di età.

La consulenza pre-test prima di un test dell'HIV di un bambino consiste nel discutere i possibili rischi psicosociali e i benefici del test con la madre o con chi accudisce il bambino (e il bambino, se è abbastanza grande). La maggior parte delle giurisdizioni degli Stati Uniti (e le raccomandazioni del CDC) ora raccomandano una discussione di esclusione orale piuttosto che un consenso formale orale (o scritto). I fornitori devono agire in conformità con le loro leggi e regolamenti statali, locali e ospedalieri. La richiesta di consulto e consenso non deve impedire il test se clinicamente indicato; il rifiuto del paziente o del tutore ad accordare il consenso non solleva i sanitari dalle loro responsabilità professionali e legali, e talvolta l'autorizzazione al test deve essere ottenuta mediante altri mezzi (p. es., ordine del tribunale).

I risultati del test devono essere discussi con la famiglia, con la persona che si prende maggiormente cura del bambino e, se abbastanza grande, con il bambino stesso. Se il bambino è HIV-positivo, devono essere fornite informazioni adeguate e il successivo follow-up. In tutti i casi è essenziale mantenere la riservatezza.

I bambini e gli adolescenti con infezione da HIV o per l'AIDS devono essere segnalati all'appropriata struttura di Sanità pubblica a seconda delle leggi dello Stato, locali o ospedaliere.

(Per domande relative alla diagnosi neonatale, i medici possono chiamare il servizio di consulenza per il parto HIV e la linea diretta per i servizi di riferimento: 1-888-HIV-8765 [1-888-448-8765].)

Programma di test per l'HIV per le donne incinte e i neonati

(Vedi anche the Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV's Recommendations for the Use of Antiretroviral Drugs During Pregnancy and Interventions to Reduce Perinatal HIV Transmission in the United States e Maternal HIV Testing and Identification of Perinatal HIV Exposure e the U.S. Preventive Services Task Force's 2019 Human Immunodeficiency Virus (HIV) Infection: Screening recommendation statement.)

Un test per l'infezione da HIV per tutte le donne in gravidanza deve essere fatto prima della gravidanza o all'inizio della gravidanza in modo che i farmaci antiretrovirali associati possano essere somministrati per la loro salute e per prevenire la trasmissione da madre figlio. Le attuali raccomandazioni suggeriscono di ripetere i test nel terzo trimestre per rilevare l'infezione da HIV di nuova acquisizione, il cui trattamento, anche in tarda gravidanza, migliorerà la salute della donna e contribuirà a ridurre la trasmissione da madre a figlio (1).

Il programma dei test per l'infezione da HIV nei neonati varia a seconda del fatto che un neonato esposto perinatalmente all'HIV dalla madre positiva per l'HIV sia considerato a basso o ad alto rischio di trasmissione; i neonati ad alto rischio vengono testati più di frequente.

Il basso rischio di trasmissione perinatale dell'HIV è definito da quanto segue:

  • La madre ha ricevuto la terapia antiretrovirale durante la gravidanza.

  • La madre aveva una soppressione virologica sostenuta, come dimostrato da livelli di RNA virale plasmatico dell'HIV < 50 copie/mL nel periodo prossimo al parto.

  • Non ci sono state preoccupazioni circa l'aderenza della madre alla terapia antiretrovirale.

Il test per neonati a basso rischio è raccomandato alle età seguenti:

Il rischio maggiore di trasmissione perinatale dell'HIV è definito come una madre positiva per l'infezione da HIV che ha uno o più dei seguenti fattori:

  • Non ha ricevuto cure prenatali

  • Non ha ricevuto la terapia antiretrovirale durante la gravidanza, o ha ricevuto solo terapia antiretrovirale intrapartum

  • Terapia antiretrovirale iniziata alla fine della gravidanza (durante la fine del 2o o 3o trimestre)

  • Diagnosticata con infezione acuta da HIV in gravidanza

  • Presentava una carica virale plasmatica di HIV sconosciuta o rilevabile (≥ 50 copie/mL) in prossimità del parto (soprattutto se il parto è stato vaginale)

  • Ha avuto un'infezione da HIV acuta o primaria durante la gravidanza o l'allattamento (in tal caso l'allattamento deve essere interrotto)

Il test per neonati a più alto rischio è raccomandato alle età seguenti:

  • Nascita (il campione di sangue deve provenire dal neonato, non dal sangue del cordone ombelicale)

  • 14-21 giorni

  • 1-2 mesi

  • 2-3 mesi (2-6 settimane dopo la sospensione della Profilassi antiretrovirale)

  • 4-6 mesi

Un test positivo deve essere confermato immediatamente impiegando lo stesso test o un altro esame virologico; due test positivi confermano l'infezione da HIV.

Se i test virologici seriali per HIV sono negativi a ≥ 2 settimane e a ≥ 4 settimane e in assenza di una delle malattie che definiscono l'AIDS, il bambino è considerato presuntivamente non infetto (ossia, con un'accuratezza > 95%). Se i test virologici per l'HIV sono anche negativi a ≥ 4 settimane e a ≥ 4 mesi, e ancora in assenza di una delle malattie che definiscono l'AIDS, il bambino è considerato definitivamente non infetto.

Alcuni esperti continuano a raccomandare un controllo degli anticorpi (1 ricerca combinata antigene/anticorpo a un'età > 18 mesi o, in alternativa, 2 ricerche eseguite tra i 6 e i 18 mesi) per escludere definitivamente l'infezione da HIV e confermare la sieroreversione (perdita degli anticorpi HIV acquisiti passivamente), soprattutto se il bambino non era nella categoria a basso rischio o se si sospettava che fosse esposto dopo la nascita (p. es., dal latte materno, da un'esposizione percutanea o da abusi sessuali). La sieroreversione si verifica a una mediana di 14 mesi di età; occasionalmente, la sieroreversione tardiva si verifica fino ai 18-24 mesi di età, complicando l'interpretazione degli anticorpi dei neonati esposti perinatalmente. Si deve ricercare la consulenza di un esperto, e i test ripetuti (insieme ai test virologici basati sugli acidi nucleici) sono indicati per il bambino esposto perinatalmente con anticorpi positivi.

Se un bambino < 18 mesi con un test anticorpale positivo, ma test virologici negativi sviluppa una malattia che definisce l'AIDS (vedi tabella ClinicalInfo.HIV.gov's Appendix C: CDC Pediatric HIV CD4 Cell Count/Percentage and HIV-Related Diseases Categorization), viene diagnosticata l'infezione da HIV.

Ulteriori test dopo la diagnosi dell'HIV

Una volta che l'infezione viene diagnosticata, vengono eseguiti altri test:

  • Conta dei linfociti T CD4+

  • Conta dei linfociti T CD8+

  • Concentrazione plasmatica dell'RNA virale

Nei bambini infetti è necessario eseguire la misurazione delle cellule T CD4+ e CD8+ e la concentrazione plasmatica dell'RNA (carica virale) per determinare il loro grado di malattia, la prognosi, e gli effetti della terapia. La conta dei CD4+ può essere inizialmente normale (p. es., al di sopra dei valori limite età-specifici della categoria 1 nella tabella Categorie immunologiche (stadi dell'infezione da HIV) per i bambini di età < 13 anni con infezione da HIV basate sulla conta età-specifica dei linfociti T CD4+ o sulle percentuali) per poi abbassarsi in seguito. La conta dei CD8+ di solito aumenta in fase iniziale e non crolla fino a una fase tardiva dell'infezione. Questi cambiamenti delle popolazioni cellulari causano una riduzione del rapporto cellulare CD4+:CD8+, che è una caratteristica dell'infezione da HIV (sebbene a volte si verifichi anche in altre infezioni). Le concentrazioni plasmatiche di RNA virale nei bambini non trattati di età < 12 mesi sono tipicamente molto elevate (in media 200 000 copie di RNA/mL). In 24 mesi, le concentrazioni virali nei bambini non trattati si riducono (a una media di circa 40 000 copie di RNA/mL).

Sebbene l'ampio range di concentrazioni dell'RNA di HIV nei bambini renda i risultati meno predittivi della morbilità e della mortalità rispetto agli adulti, determinare la concentrazione plasmatica del virus in associazione con la conta dei CD4+ offre comunque informazioni prognostiche più accurate rispetto ai due marker presi da soli. In alternativa, marker meno costosi, come la conta linfocitaria totale e i livelli di albumina sierica, possono predire la mortalità da AIDS in età pediatrica e possono essere utili nei paesi dove test più sofisticati non sono disponibili.

Nonostante non vengano misurate di routine, le concentrazioni sieriche delle immunoglobuline, in particolare IgG e IgA, sono spesso notevolmente elevate, ma occasionalmente alcuni bambini sviluppano panipogammaglobulinemia. I pazienti possono essere anergici ai test cutanei con antigeni.

Riferimento relativo alla diagnosi

  1. 1. Pollock L, Cohan D, Pecci CC, Mittal P: ACOG Committee opinion no. 752: Prenatal and perinatal human immunodeficiency virus testing. Obstet Gynecol 133(1):187, 2019. doi: 10.1097/AOG.0000000000003048

Trattamento dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini

  • Associazioni di farmaci antiretrovirali (ARV) (terapia antiretrovirale [antiretroviral therapy, ART])

  • Terapia di supporto

La combinazione di terapia antiretrovirale è individualizzata per il bambino, ma in genere comprende 3 farmaci:

  • Due inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI) più

  • Un integrase strand transfer inhibitor (INSTI) o un inibitore della proteasi

A volte viene somministrato un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) con 2 NRTI.

Grazie al successo della terapia antiretrovirale combinata, gran parte dell'attenzione attuale viene effettuata sul trattamento dell'infezione da HIV intesa come malattia cronica, affrontandone sia gli aspetti medici che sociali. Importanti questioni mediche a lungo termine comprendono la necessità di gestire le complicanze metaboliche correlate all'HIV e ai farmaci, e di tenere conto dei cambiamenti in base all'età nella farmacocinetica e farmacodinamica dei farmaci. Le questioni sociali comprendono la necessità di far fronte alle pressioni degli altri adolescenti, di assicurare il successo scolastico e la scelta di carriera e di istruire i bambini rispetto al rischio di trasmissione. Gli adolescenti hanno spesso difficoltà nel cercare e seguire i consigli dei medici e hanno particolare bisogno di aiuto per l'aderenza al trattamento.

Le sfide per i neonati e i bambini piccoli comprendono la mancanza di dati di farmacocinetica pediatrica per i nuovi composti, l'appetibilità e la tollerabilità delle formulazioni liquide, e l'assenza di compresse di associazioni a dosaggio fisso.

I bambini e gli adolescenti devono essere gestiti in collaborazione con gli esperti che hanno esperienza nella gestione dell'infezione da HIV in età pediatrica.

Indicazioni per la terapia antiretrovirale nei bambini

(Per una trattazione di alcuni farmaci e dosaggi di farmaci antiretrovirali, vedi Terapia antiretrovirale nei bambini e vedi il Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV's Guidelines for the Use of Antiretroviral Agents in Pediatric HIV Infection e vedi Appendix A: Pediatric Antiretroviral Drug Information.)

L'inizio della terapia antiretrovirale per i bambini è simile a quello negli adulti; in sostanza, tutti i bambini con infezione da HIV devono essere trattati con terapia antiretrovirale il prima possibile (avvio rapido, entro 1 o 2 settimane dalla diagnosi). Vi è sia un forte consenso che prove cliniche a favore dell'inizio precoce della terapia antiretrovirale nei neonati con infezione da HIV.

L'obiettivo della terapia a tutte le età è simile a quello degli adulti:

  • Sopprimere la replicazione dell'HIV (misurata dalla carica virale plasmatica dell'HIV).

  • Mantenere o raggiungere conte e percentuali di CD4+ normali per l'età riducendo al minimo la tossicità dei farmaci.

Prima di prendere la decisione di iniziare la terapia, il medico deve valutare approfonditamente la disponibilità del caregiver e del bambino ad aderire alla somministrazione di farmaci antiretrovirali e a discutere i potenziali benefici e i rischi della terapia. Dato che le opinioni degli esperti sulle strategie terapeutiche cambiano rapidamente, è fortemente consigliata la consulenza di esperti.

Aderenza alla terapia antiretrovirale

La terapia farmacologica antiretrovirale sarà efficace solo se la famiglia e il bambino sono in grado di aderire a un regime terapeutico molto probabilmente complesso. La mancata aderenza non solo porta all'insuccesso nel controllo dell'HIV, ma seleziona anche ceppi HIV farmaco-resistenti riducendo le future opzioni terapeutiche.

Gli eventuali ostacoli all'aderenza devono essere valutati prima di iniziare la terapia. Gli eventuali ostacoli sono rappresentati da disponibilità e palatabilità di compresse o sospensioni, dagli effetti avversi (compresi quelli causati dalle interazioni farmacologiche con la terapia in corso), dai fattori farmacocinetici quali la necessità di assumere alcuni farmaci a stomaco pieno o a digiuno, dal fatto che un bambino dipenda da altri per l'assunzione dei farmaci (inoltre, i genitori con infezione da HIV possono avere problemi nel ricordare di prendere i propri farmaci). I nuovi regimi di associazione 1 o 2 al giorno e formulazioni pediatriche più appetibili migliorano l'aderenza, e la crescente disponibilità di compresse combinate a dose fissa una volta al giorno per i bambini più grandi e gli adulti ha aiutato molti giovani a vivere con l'infezione da HIV.

L'aderenza alla terapia può essere particolarmente problematica negli adolescenti, indipendentemente dal fatto che siano stati contagiati nel periodo perinatale o che abbiano acquisito l'infezione da HIV successivamente, attraverso l'attività sessuale o l'iniezione di droghe. Gli adolescenti hanno problematiche biopsicosociali complesse, come la bassa autostima, gli stili di vita caotici e non strutturati, la paura di essere isolati a causa della malattia, e, talvolta, la mancanza di sostegno familiare, ognuno dei quali può ridurre l'aderenza ai farmaci antiretrovirali. Inoltre, gli adolescenti possono non essere abbastanza maturi da capire il motivo per cui la terapia antiretrovirale è necessaria durante i periodi di infezione asintomatica, preoccupandosi invece molto per gli effetti avversi.

Nonostante i frequenti contatti con il sistema sanitario, gli adolescenti contagiati nel periodo perinatale possono temere o negare la loro infezione da HIV, non credere alle informazioni fornite dal team di sanitari, e rendere inadeguato il passaggio al sistema di assistenza sanitaria per adulti (vedi Transizione verso le cure dell'adulto). I regimi di trattamento per gli adolescenti devono essere presi tenendo conto di questi problemi. Anche se l'obiettivo è quello di far aderire il l'adolescente al regime più efficace di farmaci antiretrovirali, una valutazione realistica della maturità dell'adolescente e dei sistemi di supporto può suggerire che il piano di trattamento inizia puntando sulla prevenzione delle malattie opportunistiche e sul fornire informazioni su servizi di salute riproduttiva, alloggio, e su come riuscire bene a scuola. Una volta che i membri del team sono fiduciosi del fatto che l'adolescente stia ricevendo il giusto sostegno, possono decidere esattamente quali farmaci antiretrovirali sono i migliori.

Monitoraggio

Il monitoraggio clinico e laboratoristico sono importanti per identificare la tossicità dei farmaci e l'insuccesso terapeutico.

  • All'ingresso in assistenza e all'inizio della terapia antiretrovirale (e in caso di modifica del regime di terapia antiretrovirale): esame obiettivo, valutazione dell'aderenza, emocromo con formula, esami ematochimici compresi elettroliti, esami epatici e renali, carica virale plasmatica di HIV, conta dei linfociti CD4+, e, per le ragazze adolescenti, un test di gravidanza

  • Ogni 3 o 4 mesi: esame obiettivo, valutazione dell'aderenza, emocromo con formula, valori ematochimici, tra cui elettroliti, test epatico e renale, carica virale plasmatica di HIV, e conte linfocitarie CD4+

  • Ogni 6-12 mesi: profili lipidici e analisi delle urine; emocromo completo e valori di chimica sierica compresi gli elettroliti, esami epatici e renali se non già eseguiti in quelli con uno stato clinico stabile; valutazione dell'aderenza

Il test di resistenza genotipica dell'HIV deve essere eseguito al momento dell'inizio della cura e in seguito a modifiche della terapia antiretrovirale per un presunto fallimento virologico.

Se deve essere somministrato l'abacavir, deve essere testato lo stato di HLA-B*5701; l'abacavir deve essere somministrato solo a pazienti che sono HLA-B* 5701 negativi. Questo test viene eseguito in genere al momento dell'inizio della cura, in modo che la sicurezza di un possibile uso futuro dell'abacavir sia nota.

Se i bambini vengono sottoposti a un trattamento stabile, ossia, l'RNA di HIV non è rilevabile, la conta dei linfociti CD4+ aggiustate per età sono normali senza segni clinici di tossicità per almeno 12 mesi, ed è presente un sistema di sostegno famigliare stabile, molti medici estenderanno l'intervallo delle valutazioni di laboratorio a ogni 6-12 mesi. Tuttavia, i controlli clinici ogni 3 mesi con misura della carica plasmatica virale in HIV sono importanti perché i medici hanno la possibilità di valutare l'aderenza, di monitorare la crescita e i sintomi clinici, e aggiornare il dosaggio basato sul peso dei farmaci antiretrovirali, se necessario.

Prevenzione delle infezioni opportunistiche

Si consiglia il trattamento profilattico in determinate categorie di bambini con infezione da HIV per la prevenzione della polmonite da Pneumocystis e di infezioni da M. avium complex. I dati sull'impiego della profilassi per infezioni opportunistiche da altri microrganismi, come quelle da cytomegalovirus, miceti e Toxoplasma, sono limitati. La guida alla profilassi di queste e di altre infezioni opportunistiche è disponibile anche sul sito ClinicalInfo.HIV.gov.

La profilassi contro la polmonite da Pneumocystis è indicata per

  • Bambini con infezione da HIV che lo sono 6 anni di età con conta dei CD4+ < 200 cellule/mcL o percentuale di CD4+ < 14%

  • Bambini con infezione da HIV da 1 a < 6 anni di età con conta dei CD4+ < 500 cellule/mcL o percentuale di CD4+ < 22%

  • Lattanti con infezione da HIV < 12 mesi di età, indipendentemente dalla conta o dalla percentuale di CD4+

  • Lattanti nati da donne con infezione da HIV (a partire dalle 4-6 settimane di vita), fino a quando l'infezione da HIV è o presuntivamente esclusa (dalla documentazione di 2 risultati negativi dei test virologici, 1 a 2 settimane di vita e 1 a 4 settimane di vita) o definitivamente esclusa (dalla documentazione di 2 risultati negativi dei test virologici, 1 a 1 mese di vita e 1 a 4 mesi di vita) (NOTA: queste definizioni di esclusione dell'HIV sono valide se il neonato non è allattato al seno.)

Una volta che la ricostituzione della risposta immunitaria è stata ottenuta mediante una terapia antiretrovirale di combinazione, la sospensione della profilassi della polmonite da Pneumocystis può essere considerata per i bambini con infezione da HIV che hanno ricevuto una terapia antiretrovirale di combinazione per > 6 mesi e la cui percentuale e conta di CD4+ sono rimasti superiori alle soglie per il trattamento descritte in precedenza per > 3 mesi consecutivi. Successivamente, la percentuale e la conta di CD4+ devono essere rivalutate almeno ogni 3 mesi, e la profilassi deve essere ripresa se si raggiungono i valori dei criteri originali.

Il farmaco di scelta per la profilassi contro Pneumocystis a qualsiasi età è il trimetoprim/sulfametossazolo (TMP/SMX). Il dosaggio del trimetoprim/sulfametossazolo è trimetoprim 75 mg/sulfametossazolo 375 mg/m2 per via orale 2 volte/die per 3 giorni consecutivi alla settimana (p. es., lunedì-martedì-mercoledì); schemi alternativi prevedono la ripetizione della stessa dose 2 volte/die, la ripetizione della stessa dose 2 volte/die a giorni alterni, o il dosaggio doppio (trimetoprim 150 mg/sulfametossazolo 750 mg/m2) per via orale 1 volta/die per 3 giorni consecutivi alla settimana. Alcuni esperti trovano più facile utilizzare un dosaggio basato sul peso (trimetoprim da 2,5 a 5 mg/sulfametossazolo da 12,5 a 25 mg/kg per via orale 2 volte/die).

Per i pazienti che non tollerano il trimetoprim/sulfametossazolo, un'alternativa è il dapsone 2 mg/kg (non superare 100 mg) per via orale 1 volta/die, soprattutto per i bambini < 5 anni di età. Un'ulteriore alternativa è la somministrazione giornaliera di atovaquone per via orale o di aerosol di pentamidina (300 mg mediante un inalatore appositamente progettato per bambini ≥ 5 anni) 1 volta al mese. È stata impiegata anche la pentamidina EV, che però è meno efficace e più tossica.

La profilassi contro le infezioni da complex è indicata nei

  • Bambini 6 anni con conta dei CD4+ < 50 cellule/mcL

  • Bambini da 2 a 6 anni con conta dei CD4+ < 75 cellule/mcL

  • Bambini da 1 a 2 anni con conta CD4+ < 500 cellule/mcL

  • Bambini < 1 anno con conta dei CD4+ < 750 cellule/mcL

L'azitromicina settimanale o la claritromicina quotidiana sono i farmaci di scelta, mentre la rifabutina giornaliera rappresenta un'alternativa.

Approccio psicosociale ai bambini con infezione da HIV

L'infezione da HIV di un bambino coinvolge l'intera famiglia. Pertanto, è raccomandata la valutazione sierologica dei fratelli e dei genitori per quelle famiglie di un bambino con infezione acquisita perinatalmente. Questo può non essere necessario per quelle famiglie esenti da infezione da HIV nota che adottano un bambino con infezione da HIV. Il medico deve fornire informazione e counseling comportamentale continuativamente.

Al bambino con infezione da HIV devono essere insegnate pratiche igieniche e comportamentali corrette per ridurre il rischio di contagio. Quanto e quando va detto ai bambini della malattia dipende dalla loro età e dalla loro maturità. I bambini più grandi e gli adolescenti devono essere messi a conoscenza della loro diagnosi e della possibilità di trasmissione sessuale e consigliati di conseguenza. Le famiglie possono non essere disposte a condividere la diagnosi con persone al di fuori dei parenti stretti, poiché ciò può creare isolamento sociale. Spesso i genitori percepiscono senso di colpa. I familiari, inclusi i bambini, possono sviluppare una depressione e avere necessità di una consulenza specialistica.

Poiché l'infezione da HIV non viene acquisita attraverso i tipi di contatto che si verificano comunemente tra bambini (p. es., attraverso saliva o lacrime), i bambini con infezione da HIV devono essere autorizzati a frequentare la scuola senza restrizioni. Analogamente, non esiste motivo di limitare l'affidamento, l'adozione o l'assistenza dei bambini con infezione da HIV. Condizioni che possono comportare un aumentato rischio per gli altri (p. es., l'abitudine di mordere gli altri o la presenza di lesioni cutanee essudative che non possono essere coperte) richiedono precauzioni speciali.

Nell'ambito del personale scolastico, il numero di persone a conoscenza della condizione del bambino deve essere mantenuto al minimo necessario per assicurare un'appropriata assistenza. La famiglia ha il diritto di informare la scuola, ma le persone coinvolte nell'assistenza e nell'educazione del bambino sieropositivo devono rispettare il diritto del bambino alla privacy. La diffusione delle informazioni deve avvenire solo con il consenso informato dei genitori o dei tutori legali insieme a un'autorizzazione del bambino, che tenga conto della sua età.

Vaccinazioni di routine

I protocolli vaccinali di routine in età pediatrica (compresi per il COVID-19) sono raccomandati per i bambini con infezione da HIV, con varie eccezioni.

L'eccezione principale è che devono essere evitati i vaccini a virus e batteri vivi (p. es., bacillo di Calmette-Guérin [BCG]) o devono essere utilizzati solo in determinate circostanze (vedi tabella Considerazioni per l'uso di vaccini vivi nei bambini con infezione da HIV).

Il vaccino orale contro il poliovirus vivo (che non è disponibile negli Stati Uniti, ma è ancora utilizzato in altre parti del mondo) e il vaccino vivo attenuato contro l'influenza non sono raccomandati; tuttavia, il vaccino antipolio con virus inattivato deve essere somministrato in base al calendario di routine, e la vaccinazione antinfluenzale con virus inattivato deve essere eseguita annualmente.

Il vaccino vivo contro morbillo-parotite-rosolia e il vaccino contro la varicella non devono essere somministrati a bambini con manifestazioni cliniche di grave immunodepressione. Tuttavia, i vaccini per morbillo-parotite-rosolia e virus varicella-zoster (separatamente, non combinati nella formulazione di vaccino morbillo-parotite-rosolia-varicella, che ha un titolo maggiore di virus attenuato della varicella, la cui sicurezza non è stata dimostrata in questa popolazione) possono essere somministrati a pazienti asintomatici dopo il completamento del calendario di routine, e a pazienti che hanno avuto sintomi da HIV ma che non sono gravemente immunodepressi (ossia, non nella categoria 3 [vedi tabella Categorie immunologiche (stadi di infezione da HIV) per i bambini < 13 anni con infezione da HIV in base alla conta o alla percentuale di cellule T CD4+ specifiche per età], compresa una percentuale di cellule T CD4+ di 15%). Se possibile, i vaccini morbillo-parotite-rosolia e virus varicella-zoster devono essere somministrati a partire dai 12 mesi d'età in pazienti sintomatici per aumentare la probabilità di una risposta immunitaria, ossia, prima che il sistema immunitario cominci a deteriorarsi. La 2a dose di ogni vaccino può essere somministrata appena 4 settimane più tardi nel tentativo di indurre la sieroconversione il più presto possibile, sebbene sia tipicamente preferito un intervallo di 3 mesi tra le dosi di vaccino contro la varicella nei bambini non infetti di età < 13 anni. Se il rischio di esposizione al morbillo è aumentato, come per esempio durante un'epidemia, il vaccino per il morbillo deve essere somministrato a un'età più precoce, ovvero 6-9 mesi.

Il vaccino anti-rotavirus vivo orale può essere somministrato a lattanti esposti o infetti da HIV, in base al calendario di routine. I dati di sicurezza ed efficacia sono limitati nei lattanti sintomatici, ma è molto probabile che il vaccino comporti un complessivo beneficio, in particolare nelle aeree in cui il rotavirus provoca una significativa mortalità.

Il vaccino antitubercolare non è raccomandato negli Stati Uniti perché si tratta di una zona a bassa prevalenza di tubercolosi. Tuttavia, in altre parti del mondo, soprattutto nei paesi dove la prevalenza della tubercolosi è alta, il vaccino antitubercolare è abitualmente utilizzato; molti di questi paesi hanno anche un'elevata prevalenza di HIV tra le donne fertili. Il bacillo di Calmette-Guérin, vaccino a batteri vivi, ha causato qualche effetto negativo in bambini con infezione da HIV, ma probabilmente protegge dall'infezione tubercolare i bambini non infetti da HIV e anche alcuni bambini sieropositivi. Così, l'OMS attualmente raccomanda che nei bambini in cui è nota l'infezione da HIV, anche se asintomatici, non venga più utilizzato il vaccino bacillo di Calmette-Guérin (antitubercolare). Tuttavia, il bacillo di Calmette-Guérin può essere somministrato ai lattanti asintomatici con stato HIV ignoto nati da donne con infezione da HIV, a seconda della relativa incidenza della tubercolosi e dell'HIV in quella zona. Il bacillo di Calmette-Guérin può anche essere somministrato a lattanti asintomatici nati da donne con situazione rispetto all'HIV ignota.

In alcune aree del mondo, ai bambini viene regolarmente somministrata il vaccino contro la febbre gialla o il vaccino contro il virus della dengue; questi vaccini con virus vivi devono essere somministrati solo a quelli senza grave immunosoppressione.

Dal momento che i bambini con infezione da HIV sintomatica manifestano generalmente una scarsa risposta immunologica ai vaccini, quando sono esposti a malattie prevenibili con la vaccinazione (p. es., morbillo, tetano, varicella) devono essere considerati suscettibili, indipendentemente dall'anamnesi relativa alle vaccinazioni. Tali bambini devono ricevere un'immunizzazione passiva con immunoglobuline EV. Le immunoglobuline EV devono inoltre essere somministrate a qualsiasi membro del nucleo familiare non immunizzato che sia esposto al morbillo.

I bambini sieronegativi che vivono con una persona affetta da infezione da HIV sintomatica devono essere sottoposti a vaccinazione antipolio con virus inattivato, piuttosto che al vaccino antipolio orale. I vaccini per influenza (vivi o inattivati), morbillo-parotite-rosolia, varicella e rotavirus possono essere somministrati normalmente perché questi virus vaccinali non sono comunemente trasmessi dal soggetto vaccinato. I contatti familiari adulti devono ricevere la vaccinazione annuale contro l'influenza (con virus vivo o inattivato) per ridurre il rischio di trasmissione dell'influenza alla persona con infezione da HIV.

Ulteriori raccomandazioni per i bambini con infezione da HIV sono

Alcune raccomandazioni per il trattamento post-esposizione sono diverse. La vaccinazione quadrivalente coniugata contro il meningococco è stata raccomandata per l'uso di routine e di recupero nei bambini, negli adolescenti e negli adulti con infezione da HIV (vedi anche ACIP recommendations for the use of meningococcal conjugate vaccines in people who have HIV).

Tabella

Riferimento relativo al trattamento

  1. 1. Kobayashi M, Farrar JL, Gierke R, et al: Use of 15-valent pneumococcal conjugate vaccine among U.S. children: Updated recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices—United States, 2022. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 71(37):1174–1181, 2022. doi: 10.15585/mmwr.mm7137a3

Transizione verso le cure dell'adulto

La transizione dei giovani con infezione da HIV dal modello di assistenza sanitaria pediatrica a quello per adulti richiede tempo e una pianificazione preventiva. Questo processo è attivo e continuo e non comporta semplicemente una sola valutazione presso una struttura o un ambulatorio per adulti. Il modello di assistenza sanitaria pediatrica tende a essere centrato sulla famiglia, e il team di assistenza comprende un team multidisciplinare di medici, infermieri, assistenti sociali e professionisti della salute mentale; i giovani che hanno contratto l'infezione in epoca perinatale potrebbero essere stati seguiti da un team simile a vita.

Al contrario, il tipico modello di assistenza sanitaria degli adulti tende a essere centrato sull'individuo, e gli operatori sanitari coinvolti potrebbero trovarsi in strutture separate, che richiedono più visite. Gli operatori sanitari delle cliniche e degli ambulatori dedicati alla cura degli adulti, spesso gestiscono volumi elevati di pazienti, e le conseguenze di ritardi o mancati appuntamenti (che possono essere più comuni tra gli adolescenti) sono più importanti. Infine, anche i cambiamenti nella copertura assicurativa in adolescenza o età adulta possono complicare la transizione.

Una pianificazione della transizione che duri diversi mesi e che comprenda il coinvolgimento degli adolescenti in colloqui o visite congiunte con gli operatori sanitari pediatrici e degli adulti, può portare a una transizione più fluida e più di successo. Una risorsa per la transizione dei giovani con infezione da HIV all'assistenza sanitaria degli adulti è ora disponibile presso l'American Academy of Pediatrics (vedi Transitioning HIV-Infected Youth Into Adult Health Care).

Prognosi dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini

Nell'era pre-terapia antiretrovirale, dal 10 al 15% dei bambini dei paesi ad alto reddito e, forse, fino al 50-80% dei bambini dei paesi a basso reddito o morivano prima dei 4 anni; tuttavia, con appropriati regimi di terapia antiretrovirale combinata, la maggior parte dei bambini contagiati in epoca perinatale sopravvive bene fino all'età adulta. Un numero crescente di queste giovani adulte con infezione perinatale ha partorito o generato i propri figli.

Tuttavia, se si verificano infezioni opportunistiche, in particolare polmonite da Pneumocystis, progressivo danno neurologico o grave deperimento, la prognosi è infausta a meno che non venga ottenuto un controllo virologico e immunologico mediante la terapia antiretrovirale di combinazione. La mortalità dovuta alla polmonite da Pneumocystis varia dal 5 al 40% se trattata, ed è quasi del 100% se non trattata. La prognosi è severa anche per i bambini in cui il virus viene identificato precocemente (ossia, entro i primi 7 giorni di vita) o in cui i sintomi compaiono nel primo anno di vita.

Sono stati segnalati diversi casi di adulti in cui un HIV replicazione-competente è stato eradicato (ossia, queste persone sono state "guarite" per > 5 anni). Questi adulti infettati dall'HIV avevano subito un trapianto di cellule staminali ematopoietiche per la leucemia. Le cellule del donatore erano omozigoti per la mutazione CCR5-delta 32, che ha reso i linfociti resistenti alle infezioni da virus HIV, in quanto il virus è in grado di infettare le cellule proprio tramite il corecettore CCR5; successivamente, l'HIV non è stato più rilevato. È probabile che la terapia antiretrovirale, la soppressione del midollo osseo e la malattia del trapianto contro l'ospite abbiano contribuito a queste guarigioni.

Almeno un neonato nato da una madre con infezione da HIV che non aveva ricevuto cure prenatali o una terapia antiretrovirale prenatale (o intrapartum) è stato ritenuto in via preliminare guarito, ma in seguito a un ulteriore follow-up clinico è stato dimostrato portatore di un'infezione persistente da HIV. A questo neonato è stata somministrata una terapia antiretrovirale combinata a dosi elevate (non ancora note per essere sicure ed efficaci per l'uso generale) a partire dal 2o giorno di vita fino a 15 mesi di età, dopo di che è stato inavvertitamente interrotto. Tuttavia, a 24 mesi di vita, sebbene nel bambino fosse rilevabile il DNA provirale, non lo era l'RNA del virus in replicazione (una "cura funzionale"). Successivamente, tuttavia, ne seguì la replicazione dell'HIV. Nessun lattante o bambino è stato guarito in modo permanente dalla loro infezione da HIV, e non è ancora noto se la cura sia possibile.

Ciò che è noto, tuttavia, è che l'infezione da HIV è un'infezione trattabile e che permette una sopravvivenza a lungo termine se viene somministrata una terapia antiretrovirale combinata efficace. La ricerca futura permetterà di scoprire nuovi modi per migliorare la tolleranza e la sicurezza della terapia antiretrovirale e, forse, contribuirà a raggiungere l'obiettivo di una terapia curativa. Allo stato attuale, l'interruzione della terapia antiretrovirale nella piccola infanzia, nell'infanzia o nell'età adulta non è raccomandata.

Prevenzione dell'infezione da HIV nei neonati e nei bambini

Per la prevenzione pre-esposizione, vedi Profilassi pre-esposizione (PrEP).

Per la prevenzione post-esposizione, vedi Profilassi post-esposizione.

Prevenzione della trasmissione perinatale

Un'appropriata terapia antiretrovirale perinatale punta a ottimizzare la salute materna, interrompere la trasmissione da madre a figlio, e minimizzare la tossicità dei farmaci in utero. Negli Stati Uniti e in altri paesi in cui i farmaci antiretrovirali e il test HIV sono prontamente disponibili, il trattamento con farmaci antiretrovirali è standard per tutte le donne in gravidanza con infezione da HIV (vedi trattamento dell'infezione da HIV negli adulti). Il test rapido per l'HIV su donne in gravidanza che si presentano al travaglio senza documentazione sulla propria situazione rispetto all'HIV può permettere l'immediata istituzione di tali misure.

Tutte le donne in gravidanza con infezione da HIV devono iniziare una terapia antiretrovirale combinata per prevenire la trasmissione da madre a figlio, così come per la loro stessa salute, non appena viene fatta la diagnosi di infezione da HIV e sono pronte ad aderire alla terapia antiretrovirale. La terapia antiretrovirale combinata viene continuata per tutta la gravidanza. La gravidanza non è una controindicazione alla combinazione dei regimi antiretrovirali, in particolare, né dolutegravir né efavirenz sono controindicati durante il 1o trimestre. Anche se uno studio clinico in Botswana ha mostrato inizialmente un legame tra l'esposizione periconcezionale al dolutegravir e un piccolo aumento dei difetti del tubo neurale infantile, l'aumento apparente non era presente in ulteriori studi, e non è noto se questo aumento sia stato veramente causato dal dolutegravir o da un altro fattore, come la carenza di folati. La maggior parte degli esperti ritiene che le donne con infezione da HIV che ricevono già la terapia antiretrovirale di combinazione e che iniziano una gravidanza devono continuare questa terapia, perfino durante il 1o trimestre.

Il parto cesareo elettivo in elezione prima dell'inizio del travaglio è consigliato se la carica virale plasmatica di HIV materno è > 1000 copie/mL. Se il travaglio è già iniziato, è meno certo che il parto cesareo riduca la trasmissione da madre a figlio.

Durante il travaglio, la zidovudina (ZDV) viene somministrata alla dose di 2 mg/kg EV durante la prima ora e quindi a 1 mg/kg/h EV fino al parto per le donne che hanno ≥ 1 dei seguenti fattori:

  • Recente carica virale plasmatica di HIV > 1000 copie/mL

  • Carica virale plasmatica di HIV in prossimità del parto sconosciuta

  • Si pensa che abbiano avuto un'aderenza incompleta alla terapia antiretrovirale

Molti esperti attualmente ritengono che la zidovudina (ZDV) EV non sia necessaria durante il travaglio per le donne in terapia antiretrovirale combinata che hanno raggiunto una carica virale di HIV nel plasma < 50 copie/mL a breve distanza dal parto. Tuttavia, la zidovudina (ZDV) EV deve essere presa in considerazione per le donne con una carica virale da 50 a 999 copie/mL al momento del parto; può fornire un'ulteriore protezione contro la trasmissione perinatale.

Dopo il parto, la terapia antiretrovirale combinata viene continuata per tutte le donne, anche quelle che non avevano precedentemente ricevuto una terapia antiretrovirale.

Tutti i neonati esposti all'HIV devono ricevere un regime antiretrovirale post-partum per ridurre il rischio di infezione da HIV. Il trattamento deve iniziare il più presto possibile, preferibilmente entro 6-12 h dal parto. Il regime antiretrovirale è determinato dai fattori di rischio materni e infantili di trasmissione perinatale dell'HIV (vedi il Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV's Maternal HIV Testing and Identification of Perinatal HIV Exposure raccomandazioni).

I regimi di prevenzione sono classificati come

  • Profilassi con antiretrovirali

  • Presuntiva terapia per l'HIV

I neonati a basso rischio sono candidati alla profilassi antiretrovirale. Essi comprendono neonati a termine nati da donne che hanno avuto una soppressione virologica sostenuta con terapia antiretrovirale (come dimostrato da una carica virale plasmatica di HIV < 50 copie/mL) in prossimità del parto e in cui non vi sono preoccupazioni legate all'aderenza alla terapia antiretrovirale.

Ai neonati a basso rischio deve essere somministrata la profilassi antiretrovirale con antiretrovirali con zidovudina (ZDV) 4 mg/kg 2 volte/die per le prime 4 settimane di vita. La zidovudina (ZDV) a è la pietra miliare della profilassi infantile ed è utilizzata per tutti i bambini nati da donne con infezione da HIV indipendentemente dai fattori di rischio.

Alcuni esperti consigliano che la zidovudina (ZDV) possa essere somministrata per 2 settimane a bambini selezionati nati a ≥ 37 settimane di gestazione in donne che soddisfano i criteri a basso rischio, a cui è stata somministrata la terapia antiretrovirale per più di 10 settimane consecutive e che hanno mantenuto una soppressione virale per la durata della gravidanza (vedi il Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV's Management of Infants Born to People with HIV Infection).

Ai neonati ad alto rischio viene somministrata una terapia presuntiva per l'HIV (vedi tabella Gestione antiretrovirale neonatale secondo il rischio di infezione da HIV) con un regime a tre farmaci zidovudina, lamivudina e nevirapina o raltegravir (per il dosaggio, vedi tabella Dosaggio degli antiretrovirali per i neonati con esposizione perinatale all'HIV) fino a 6 settimane o, raramente, più a lungo. Questa terapia inizialmente serve come profilassi, ma anche come trattamento preliminare per quelli successivamente confermati per avere l'HIV.

Molti pochi farmaci antiretrovirali (in particolare zidovudina (ZDV), nevirapina, lamivudina, abacavir, e raltegravir) sono considerati sicuri ed efficaci nei bambini < 14 giorni di età post-natale, e ancora meno farmaci (solo la zidovudina, la lamivudina, la nevirapina e per i lattanti prematuri tardivi, il raltegravir) dispongono di dati di dosaggio per i neonati prematuri. Il regime antiretrovirale ottimale per i neonati nati da donne affette con resistenza al regime antiretrovirale da farmaco è sconosciuto.

Ai neonati che successivamente hanno un test virologico HIV positivo viene somministrata la terapia antiretrovirale con 3 farmaci appropriati per il trattamento dell'infezione da HIV nota. Un esperto in infezione da HIV pediatrica o materna deve essere immediatamente consultato (vedi informazioni su ClinicalInfo.HIV.gov o su National Clinician Consultation Center). I medici possono anche chiamare il servizio di consulenza per l'HIV perinatale e la linea di assistenza per i servizi di riferimento all'1-888-HIV-8765 (1-888-448-8765) per domande riguardanti gli interventi volti a ridurre la trasmissione verticale dell'HIV e la diagnosi neonatale.

Tabella
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Alcune madri con infezione da HIV che vivono negli Stati Uniti o in altri paesi dove sono disponibili fonti di alimentazione alternative sicure e convenienti possono scegliere di allattare al seno se ricevono una terapia antiretrovirale e hanno una carica virale non rilevabile in maniera sostenuta. La decisione di allattare al seno deve essere presa solo dopo la consulenza e discussioni decisionali condivise. Alcune raccomandazioni per la profilassi antiretrovirale neonatale continua e di aumentare la frequenza dei test diagnostici in questa situazione, ma un consenso non è stato ancora raggiunto poiché i dati sono incompleti. Deve essere consultato un esperto di infezione pediatrica dell'HIV (vedi Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV's Infant Feeding for Individuals with HIV in the United States).

Inoltre, nei paesi in cui le malattie infettive e la malnutrizione sono le cause principali di mortalità nella prima infanzia e un latte di formula sicuro non è di costo accessibile, la protezione che l'allattamento al seno offre rispetto alla mortalità legata alle infezioni respiratorie e gastrointestinali può controbilanciare il rischio di trasmissione dell'HIV. In questi paesi, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda alle madri con infezione da HIV di continuare ad allattare per almeno i primi 12 mesi di vita del bambino (vedi l'OMS Guideline: Updates on HIV and Infant Feeding).

La donazione alle banche del latte è controindicata per le donne con infezione da HIV negli Stati Uniti e in altri paesi in cui sono facilmente disponibili fonti alternative di alimentazione sicure e convenienti.

La premasticazione del cibo, praticata da alcune madri di bambini piccoli, è controindicata anche per le donne con infezione da HIV.

Prevenzione della trasmissione negli adolescenti

Poiché sono particolarmente a rischio di infezione da HIV, gli adolescenti devono essere istruiti, avere accesso al test per l'HIV e conoscere il proprio stato sierologico. L'educazione deve comprendere informazioni su trasmissione, implicazioni dell'infezione e strategie di prevenzione, compresa l'astensione da comportamenti ad alto rischio e pratiche sessuali sicure (p. es., corretto e costante impiego del preservativo) per quelli che sono sessualmente attivi. Gli sforzi devono essere rivolti in particolare agli adolescenti ad alto rischio di infezione da HIV, come adolescenti maschi neri e ispanici omosessuali, dal momento che negli Stati Uniti è questo gruppo che mostra il più rapido aumento demografico di nuove infezioni da HIV tra i giovani; tuttavia, tutti gli adolescenti devono essere istruiti su come ridurre il rischio.

Nella maggior parte degli stati degli Stati Uniti è necessario il consenso informato per l'esecuzione del test e per la diffusione di informazioni circa lo stato sierologico dell'HIV. Le decisioni riguardanti la divulgazione dello stato di HIV a un partner sessuale senza il consenso del paziente devono essere basate su quanto segue:

  • Possibilità di violenza da parte del partner al paziente dopo la rivelazione al partner

  • Probabilità che il partner sia a rischio

  • Se il partner ha ragionevoli motivi per sospettare il rischio e di prendere precauzioni

  • Esistenza di un obbligo legale di trattenere o divulgare tali informazioni

Profilassi pre-esposizione (PrEP)

La profilassi pre-esposizione (PrEP) è l'uso di farmaci antiretrovirali da parte di persone che non sono infettate dall'HIV ma che sono ad alto rischio di contrarre l'infezione (p. es., quelli che hanno un partner sessuale con infezione da HIV). Comunemente, la profilassi pre-esposizione (PrEP) è una combinazione di tenofovir disoproxil fumarato/emtricitabina (TDF/FTC); meno comunemente, la PrEP è una combinazione di tenofovir alafenamide/emtricitabina (TAF/FTC), che ha pure un'efficacia molto elevata. La profilassi pre-esposizione (PrEP) con farmaci antiretrovirali non elimina la necessità di utilizzare altri metodi per ridurre il rischio di infezione da HIV, tra cui utilizzare preservativi e evitare comportamenti ad alto rischio (p. es., la condivisione di aghi).

I dati relativi ai bambini di madri HIV-negative che assumono la profilassi pre-esposizione (PrEP) con tenofovir disoproxil fumarato/emtricitabina (TDF/FTC) durante la gravidanza sono incompleti, ma al momento, non sono stati segnalati effetti negativi nei bambini nati da donne con infezione da HIV trattati con tenofovir disoproxil fumarato/emtricitabina (TDF/FTC). La profilassi pre-esposizione (PrEP) con farmaci antiretrovirali per ridurre il rischio di infezione da HIV nei tossicodipendenti per via iniettiva è in fase di studio.

Gli adolescenti negli Stati Uniti spesso affrontano un ostacolo per beneficiare di servizi circa le infezioni a trasmissione sessuale e per l'HIV, in parte perché temono una violazione della riservatezza (ossia, che i loro genitori o tutori saranno informati). Questo è stato un ostacolo alla somministrazione della profilassi pre-esposizione (PrEP) negli adolescenti. Le questioni di costo (con possibile assenza di rimborso assicurativo) possono anche essere più complesse per gli adolescenti che ricevono la profilassi pre-esposizione (PrEP) rispetto agli adulti che ricevono la PrEP. Nonostante queste potenziali barriere, la profilassi pre-esposizione (PrEP) per gli adolescenti sessualmente attivi, in particolare quelli con un comportamento sessuale ad alto rischio, deve essere fortemente considerata. Un recente compendio di leggi sul consenso minorile per le infezioni a trasmissione sessuale e i servizi per l'HIV è disponibile per aiutare a guidare i medici (1).

Farmaci antiretrovirali iniettabili a lunga durata di azione come il cabotegravir sono in fase di studio per migliorare ulteriormente la profilassi pre-esposizione (PrEP) nelle popolazioni ad alto rischio con scarsa aderenza ai farmaci. Per le raccomandazioni CDC attuali, vedi Pre-Exposure Prophylaxis (PrEP). Per informazioni complementari, vedi PrEP to Prevent HIV and Promote Sexual Health del New York State Department of Health AIDS Institute.

Riferimento per la profilassi pre-esposizione (PrEP)

  1. 1. Nelson KM, Skinner A, Underhill K: Minor consent laws for sexually transmitted infection and HIV services. JAMA 328(7):674–676, 2022. doi: 10.1001/jama.2022.10777

Punti chiave

  • La maggior parte dei casi di HIV nei lattanti e nei bambini è legata alla trasmissione da madre a figlio prima o durante il parto o all'allattamento al seno, in Paesi ove non vi è disponibilità di latte artificiale a buon prezzo e sicuro.

  • La terapia antiretrovirale materna può ridurre l'incidenza della trasmissione da madre a figlio da circa il 25% a < 1%.

  • I neonati nati da donne che vivono con l'infezione da HIV vengono trattati per un breve periodo di tempo con farmaci antiretrovirali per interrompere la trasmissione verticale (da madre a figlio).

  • Diagnosticare i bambini < 18 mesi utilizzando test qualitativi per l'RNA o l'RNA/DNA dell'HIV (p. es., amplificazione mediata dalla trascrizione dell'RNA).

  • La diagnosi va posta nei bambini > 18 mesi utilizzando una combinazione del test immunologico HIV-1/2 antigene/anticorpo di 4a generazione seguito da un test di differenziazione degli anticorpi HIV-1/2 di seconda generazione e, se necessario, da un test qualitativo sull'RNA HIV-1.

  • Trattare urgentemente (usando l'iniziazione rapida) tutti i bambini con infezione da HIV < 12 mesi; quelli di età compresa tra 1 e < 6 anni che hanno infezioni opportunistiche che definiscono lo stadio 3 o conte di CD4 < 500 cellule/mcL; e quelli di età ≥ 6 anni che hanno infezioni opportunistiche che definiscono la fase 3 o conta di CD4 < 200 cellule/mcL.

  • Trattare tutti gli altri bambini e adolescenti con infezione da HIV non appena i problemi di aderenza sono valutati e affrontati con i bambini e i loro assistenti.

  • La terapia antiretrovirale di combinazione viene somministrata, utilizzando preferibilmente un prodotto di combinazione a dose fissa, se disponibile, per una maggiore aderenza.

  • Gli adolescenti che non hanno un'infezione da HIV possono essere ricevere la profilassi pre-esposizione (PrEP) per prevenire l'infezione da HIV, ma questioni di riservatezza e costo possono essere più problematiche che per gli adulti che ricevono la PrEP.

  • Somministrare una profilassi per le infezioni opportunistiche sulla base dell'età e della conta dei CD4+.

Per ulteriori informazioni

Le seguenti risorse in lingua inglese possono essere utili. Si noti che il Manuale non è responsabile per il contenuto di queste risorse.

Vedi il seguente sito governativo degli Stati-Uniti per informazioni sul trattamento farmacologico, compresi gli effetti avversi, il dosaggio (in particolare informazioni sui prodotti a combinazione a dose fissa), e le interazioni farmacologiche, materiali educativi e link rapidi agli argomenti correlati:

  1. ClinicalInfo.HIV.gov/Panel on Antiretroviral Therapy and Medical Management of Children Living with HIV: Guidelines for the Use of Antiretroviral Agents in Pediatric HIV Infection

  2. ClinicalInfo.HIV.gov: Recommendations for the Use of Antiretroviral Drugs During Pregnancy and Interventions to Reduce Perinatal HIV Transmission in the United States

  3. ClinicalInfo.HIV.gov: Appendix C: CDC Pediatric HIV CD4 Cell Count/Percentage and HIV-Related Diseases Categorization

  4. ClinicalInfo.HIV.gov: Diagnosis of HIV Infection in Infants and Children

  5. ClinicalInfo.HIV.gov: Maternal HIV Testing and Identification of Perinatal HIV Exposure

  6. ClinicalInfo.HIV.gov: Appendix A: Pediatric Antiretroviral Drug Information

  7. ClinicalInfo.HIV.gov: Management of Infants Born to People with HIV Infection

  8. ClinicalInfo.HIV.gov: Guidelines for the Use of Antiretroviral Agents in Adults and Adolescents with HIV

  9. ClinicalInfo.HIV.gov: Guidelines for the Prevention and Treatment of Opportunistic Infections in Children with and Exposed to HIV

  10. ClinicalInfo.HIV.gov: Guidelines for the Prevention and Treatment of Opportunistic Infections in Adults and Adolescents with HIV

  11. ClinicalInfo.HIV.gov: Infant Feeding for Individuals with HIV in the United States

  12. World Health Organization: Guideline: Updates on HIV and Infant Feeding

  13. Centers for Disease Control and Prevention (CDC): Pre-Exposure Prophylaxis (PrEP)

  14. U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF): Human Immunodeficiency Virus (HIV) Infection: Screeningrecommendation statement (2019)

Le seguenti risorse forniscono informazioni riguardo vari altri aspetti di prevenzione, trattamento ed educazione sull'HIV/AIDS:

  1. New York State Department of Health AIDS Institute HIV Clinical Guidelines Program: diffonde linee guida pratiche, basate sulle prove, e promuove un'assistenza medica di qualità per le persone a New York che vivono con e/o sono a rischio di contrarre l'HIV e alcune altre malattie

  2. New York State Department of Health AIDS Institute: linee guida, educazione e formazione per la prevenzione dell'HIV

  3. New York State Department of Health AIDS Institute: informazioni complete su tutti gli aspetti dell'HIV/AIDS, tra cui il trattamento, la consapevolezza sociale, le risorse per i consumatori e formazioni per i professionisti

  4. UNAIDS: informazioni complete su come l'organizzazione dirige, sostiene, coordina e fornisce il supporto tecnico necessario per connettere la direzione da parte dei governi, del settore privato e delle comunità per fornire servizi salvavita per l'HIV

  5. National Clinician Consultation Center: linee guida aggiornate per l'HIV/AIDS e protocolli di trattamento chiave per il trattamento, la prevenzione e l'esposizione all'HIV/AIDS

  6. American Academy of Pediatrics: Transitioning HIV-Infected Youth Into Adult Health Care

  7. Perinatal HIV Consultation and Referral Services Hotline 1-888-HIV-8765 (1-888-448-8765): consulenza clinica 24 h/24 gratuita e consigli su come trattare le donne in gravidanza con infezione da HIV e i loro bambini

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