Sintomi di malattia letale

DiElizabeth L. Cobbs, MD, George Washington University;
Karen Blackstone, MD, George Washington University;Joanne Lynn, MD, MA, MS, The George Washington University Medical Center
Revisionato/Rivisto ott 2021
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Molte malattie letali provocano sintomi simili, come dolore, difficoltà respiratorie, problemi digestivi, incontinenza, piaghe cutanee e sensazione di spossatezza. Si possono anche verificare depressione, ansia, confusione, perdita di coscienza e invalidità. I sintomi possono generalmente essere previsti e trattati.

Dolore

La maggior parte dei pazienti teme il dolore quando affronta la morte. Tuttavia, per quasi tutti, si possono creare condizioni di vita più confortevoli, e la maggior parte riesce a rimanere sveglia e partecipe del mondo, anche se una terapia del dolore aggressiva può talora causare un inevitabile stato di torpore o confusionale.

La scelta del medico relativa a una terapia di riduzione del dolore (analgesica) dipende in larga parte dall’intensità del dolore e dalla sua causa, che il medico stabilisce parlando con il paziente e osservandolo. L’aspirina, il paracetamolo o i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono efficaci nell’alleviare il dolore lieve. Tuttavia, molti soggetti hanno bisogno di analgesici più forti, come gli oppioidi, per trattare il dolore da moderato a grave. Gli oppioidi somministrati per bocca, quali ossicodone, idromorfone, morfina e metadone, o per via sublinguale, come il fentanil, possono alleviare il dolore in maniera opportuna ed efficace per molte ore. Se un soggetto non è in grado di assumere oppioidi per bocca, potrà optare per un cerotto cutaneo, un’iniezione sottocutanea o intramuscolare, l’assunzione per via rettale o l’infusione endovenosa continua.

L’adeguata terapia farmacologica dovrà essere somministrata precocemente, anziché rimandarla al momento in cui il dolore diventa intollerabile. Non esiste una dose standard. Ad alcuni pazienti bastano dosi basse, mentre altri necessitano di dosi molto maggiori per ottenere lo stesso effetto. Se una dose inferiore di oppioide non è più efficace, i medici dovranno aumentarla, spesso raddoppiandola. L’uso regolare di oppioidi può provocare dipendenza farmacologica, ma questo effetto non causa problemi nel malato terminale, salvo la necessità di evitare un’interruzione improvvisa e i relativi effetti negativi. La dipendenza farmacologica di fatto non rappresenta un problema quando il paziente è prossimo al decesso.

Gli oppioidi possono causare effetti collaterali come nausea, sedazione, stato confusionale, stipsi o respirazione lenta o superficiale (depressione respiratoria). La maggior parte degli effetti collaterali, eccetto la stipsi, si risolve generalmente nel tempo o al momento della sostituzione con un altro oppioide. Spesso la stipsi può essere minimizzata iniziando l’assunzione dei lassativi persino prima di somministrare gli oppioidi. Gli oppioidi possono occasionalmente dare luogo a delirio e convulsioni. I soggetti con effetti collaterali gravi o persistenti, o inadeguata attenuazione del dolore, spesso traggono beneficio dal trattamento a cura di uno specialista del dolore.

L’uso di altri farmaci, oltre agli oppioidi, spesso regala una maggiore tranquillità al malato e riduce il dosaggio degli oppioidi e la gravità degli effetti collaterali. I corticosteroidi (come prednisone o metilprednisone) possono ridurre il dolore dovuto a infiammazione e gonfiore. Gli antidepressivi (come nortriptilina e doxepina) o la gabapentina aiutano a gestire il dolore causato da alterazioni a carico del sistema nervoso, del midollo spinale o dell’encefalo. Alcuni antidepressivi, come la doxepina, possono essere somministrati nelle ore notturne per favorire anche il sonno. Le benzodiazepine (come il lorazepam) sono utili per i soggetti in cui il dolore è esacerbato da uno stato ansioso.

Per il dolore grave localizzato in un punto, un anestetico locale iniettato dentro o attorno al nervo (“blocco nervoso”) somministrato da un anestesista (medico con formazione speciale nella gestione del dolore e nel supporto del paziente durante la chirurgia) può attenuare il dolore in associazione a scarsi effetti collaterali.

Le tecniche di modifica del dolore (come la fantasia guidata, l’ipnosi, l’agopuntura, il rilassamento e il biofeedback) aiutano alcuni soggetti. Una consulenza per la gestione di stress e ansia può essere molto utile, così come il sostegno spirituale da parte di un cappellano.

Sapevate che...

  • La maggior parte dei sintomi di disagio che insorgono in prossimità della morte può essere attenuata, almeno in larga misura.

Respiro affannoso

Anche se è un sintomo che suscita particolare ansia nel malato terminale, la sensazione di respiro corto e difficoltà a respirare (dispnea) può essere generalmente attenuata con vari metodi, ad esempio, attraverso una riduzione dell’accumulo di liquidi, il posizionamento di una sonda toracica, il cambiamento della posizione del soggetto e la somministrazione integrativa di ossigeno. L’inalazione di albuterolo o i corticosteroidi assunti per bocca o per via endovenosa possono alleviare il sibilo e l’infiammazione polmonare. Gli oppioidi (come la morfina) possono contribuire ad aiutare i soggetti con dispnea lieve, persistente, anche in assenza di dolore. L’assunzione di oppiacei prima di coricarsi può favorire il sonno, perché tali farmaci evitano al malato di svegliarsi frequentemente per la difficoltà a respirare. Le benzodiazepine (come il lorazepam) spesso aiutano ad alleviare l’ansia causata dalla dispnea. Altre misure utili comprendono l’ingresso nell’ambiente di aria fresca dalla finestra aperta o un ventilatore e la presenza costante di una persona in grado di tranquillizzare il soggetto.

In caso di inefficacia, la maggior parte dei medici che operano in strutture di medicina palliativa concorda sulla necessità di somministrare una dose elevata di oppiacei per alleviare la sensazione di difficoltà respiratoria, anche se il malato può diventare incosciente. Un paziente che intende evitare tale sensazione in fase terminale, deve assicurarsi che il medico tratterà questo sintomo completamente, anche se tale trattamento determina stato di incoscienza o, in qualche modo, anticipa la morte.

Disturbi digestivi

I problemi digestivi, come bocca secca, nausea, stipsi, difficoltà di deglutizione e perdita dell’appetito, sono comuni nei malati gravi. Alcuni di questi disturbi sono causati dalla malattia. Altri, come la stipsi, possono essere effetti collaterali dei farmaci.

Bocca secca

La bocca secca può essere trattata con tamponi umidi, cubetti di ghiaccio o caramelle. Esistono vari prodotti in commercio per lenire le labbra screpolate. Per prevenire problemi ai denti, il malato deve curare l’igiene orale o utilizzare frequentemente spugne orali per detergere denti, gengive, interno delle guance e lingua.

Nausea e vomito

Questi sintomi possono essere causati dai farmaci, da un’ostruzione intestinale, da disturbi gastrici, da uno squilibrio chimico, da un’aumentata pressione cranica (che insorge con certi tumori cerebrali) o da numerose malattie in stato avanzato. Le cause identificabili di nausea o vomito devono in genere essere trattate. Il medico potrebbe dover cambiare i farmaci o prescrivere un agente contro la nausea (antiemetico).

Un’occlusione intestinale può dare luogo a nausea e vomito. La causa più comune di ostruzione intestinale in fase terminale è un tumore addominale. La nausea e il vomito causati da un’ostruzione intestinale possono essere meno fastidiosi quando trattati con farmaci antiemetici e, a volte, corticosteroidi e altri agenti. Tuttavia, l’attenuazione dei sintomi può essere solo temporanea. Se i farmaci non sono efficaci, a volte si può provare l’aspirazione continua delle secrezioni gastriche con una sonda che dal naso giunge allo stomaco (sonda nasogastrica). Potrebbe essere necessaria riparazione chirurgica per aprire un’ostruzione. Tuttavia, in base alla condizione complessiva del soggetto, alla probabile aspettativa di vita e alla ragione dell’ostruzione, la chirurgia può fare più male che bene. Gli oppiacei sono utili per il trattamento del dolore.

Stipsi

La stipsi è molto fastidiosa e comune nel malato terminale. Una limitata assunzione di sostanze solide e liquide, la mancanza di attività fisica e l’assunzione di alcuni farmaci come gli oppioidi provocano un rallentamento delle funzioni intestinali. Possono comparire crampi addominali. Una terapia con emollienti fecali, lassativi e clisteri può essere necessaria per il trattamento della stipsi, soprattutto se causata da oppiacei. La risoluzione della stipsi reca in genere molto sollievo, anche nello stadio terminale della malattia.

Difficoltà di deglutizione

La difficoltà nella deglutizione (disfagia) insorge in alcuni soggetti, soprattutto dopo un ictus, e in pazienti con demenza avanzata, oppure deriva da un’ostruzione del canale che connette la gola allo stomaco (esofago) affetto da cancro. A volte, il soggetto può riacquistare la capacità di deglutire grazie a particolari posizioni assunte durante i pasti, oppure optando per cibi semplici da ingerire. Anche se il paziente non in fase terminale ha difficoltà a deglutire può chiedere ai medici informazioni sui benefici e sugli effetti avversi causati dall’applicazione di una sonda per l’alimentazione, questo tipo di trattamento non è generalmente previsto se il paziente è allo stadio terminale o presenta grave demenza.

Perdita dell’appetito

La perdita di appetito (anoressia) si manifesta nella maggior parte dei pazienti in fase terminale. Molte condizioni che causano uno scarso apporto di sostanze solide e liquide possono essere alleviate, fra cui infiammazione della mucosa gastrica, stipsi, mal di denti, infezione orale da lieviti, dolore e nausea. Alcuni soggetti traggono beneficio dagli stimolanti dell’appetito come i corticosteroidi assunti per bocca (desametasone o prednisone), il megestrolo o il dronabinolo. I pazienti prossimi alla morte non devono sforzarsi di mangiare, ma potrebbero trarre piacere dal mangiare piccole quantità dei piatti casalinghi preferiti.

Se la morte del paziente non è prevista entro poche ore o giorni, è possibile nutrire e idratare temporaneamente il soggetto in vena (per via endovenosa) oppure attraverso una sonda nasogastrica, per valutare se lo stato di benessere, la lucidità mentale o le energie migliorano. Il miglioramento spesso non avviene e pertanto molti soggetti optano per l’interruzione del trattamento. Il malato e i familiari devono chiarire immediatamente con il medico gli obiettivi di queste misure terapeutiche e l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale in caso di insuccesso.

Negli ultimi giorni di vita, la perdita dell’appetito è piuttosto comune e non causa ulteriori disturbi o sofferenza di tipo fisico, anche se la mancanza di fame e sete del soggetto può creare stress in famiglia. La perdita dell’appetito aiuta probabilmente i soggetti a sopportare un po’ meglio la morte. In realtà, data l’insufficienza di cuore e reni, un normale apporto di liquidi spesso causa difficoltà respiratorie, perché si accumulano liquidi nei polmoni. Una quantità minore di cibo e liquidi può ridurre la necessità di aspirazione, grazie a una quota minore di secrezioni in gola e alla riduzione del dolore in soggetti con tumore, per un minore edema attorno al tumore. Può anche aiutare l’organismo a rilasciare maggiori quantità di sostanze chimiche naturali contro il dolore (endorfine). Quindi, i malati terminali non devono essere forzati a mangiare o bere, soprattutto se ciò richiede mezzi di contenzione, cannule venose o nasogastriche o ricovero.

Incontinenza

Molti malati terminali perdono la capacità di controllare la funzione intestinale e vescicale (incontinenza), condizione attribuibile alla malattia o alla debolezza generale. L’uso di assorbenti per adulti usa e getta e un’igiene scrupolosa sono generalmente sufficienti per risolvere il problema. I soggetti incontinenti devono essere tenuti il più asciutti possibile, solitamente con frequenti cambi della biancheria da letto e degli assorbenti. Il catetere (un piccolo tubo introdotto in vescica) aumenta il rischio di infezioni delle vie urinarie e deve essere usato solo quando la procedura di cambio della biancheria arreca dolore al paziente o quando il malato o i suoi familiari esprimono una forte preferenza per questa opzione.

Piaghe da decubito

I malati terminali sono soggetti alla formazione di piaghe da decubito (o lesioni da pressione), che causano fastidio e possono dare luogo a infezioni. I soggetti molto malati, che si muovono poco, sono allettati, incontinenti e scarsamente alimentati oppure stanno seduti per la maggior parte del tempo sono i soggetti a rischio massimo. La pressione esercitata sulla cute stando seduti o sfregandola contro le lenzuola può lacerarla o provocare lesioni. Si deve tentare di evitare la formazione di piaghe da decubito proteggendo la cute e riferire prontamente al medico o al personale infermieristico la presenza di arrossamenti o lesioni. I soggetti incontinenti devono essere tenuti il più asciutti possibile. Cambi di posizione ogni 2 ore riducono la probabilità di piaghe da decubito. Inoltre può essere utile l’uso di un materasso specifico o a sospensione aerea continuamente gonfiato.

Affaticamento

La maggior parte delle malattie fatali causa astenia. Un malato terminale tenta di risparmiare energie per le attività che realmente lo interessano. Spesso, non è fondamentale recarsi in ambulatorio o continuare a eseguire esercizi ormai inutili, soprattutto se ciò comporta un dispendio di energie necessarie per attività più allettanti. Talvolta, sono utili i farmaci stimolanti.

Depressione e ansia

La sensazione di tristezza che si avverte al termine della vita è una reazione naturale e non deve essere confusa con la depressione. Il soggetto depresso perde interesse per il mondo circostante, ha una visione negativa della vita o non prova emozioni. L’offerta di supporto psicologico e la disponibilità all’ascolto dei suoi dubbi e sentimenti sono in generale gli approcci migliori. Un operatore sociale qualificato, un medico, un infermiere o un cappellano possono aiutare in questi frangenti. Il malato e i familiari devono riferire queste sensazioni al medico, in modo che la depressione possa essere diagnosticata e curata. Il trattamento, che di solito prevede l’associazione di farmaci e una consulenza specialistica, è spesso efficace, perfino nelle ultime settimane di vita, perché migliora la qualità della vita restante.

L’ansia è più che una semplice preoccupazione: indica uno stato in cui paura e preoccupazione sono tali da interferire con le attività quotidiane. La mancanza di informazioni e la sensazione di oppressione possono generare ansia, che può essere alleviata con l’aiuto dei caregiver. Un soggetto tipicamente ansioso durante i periodi di stress ha maggiori probabilità di provare ansia in punto di morte. Le strategie adottate in precedenza per aiutare il soggetto, come la rassicurazione, l’impiego di farmaci e i tentativi di canalizzare le preoccupazioni verso sforzi produttivi, saranno forse utili nella fase terminale. Un malato terminale tormentato dall’ansia deve ricorrere alla consulenza di specialisti e può richiedere ansiolitici.

Confusione e stato di incoscienza

I malati gravi entrano facilmente in uno stato confusionale. La confusione può essere scatenata da un farmaco, un’infezione minore, uno squilibrio chimico o anche da variazioni nelle abitudini di vita. La rassicurazione e il riorientamento possono alleviare questa condizione, ma il medico dovrà valutare la possibilità di cause trattabili. Un malato che si trova in grave stato confusionale richiede la somministrazione di un sedativo blando o la presenza continua di un assistente.

Il malato terminale in stato confusionale potrebbe non essere cosciente di essere in punto di morte e spesso non avere la consapevolezza del proprio stato confusionale. Talvolta, in punto di morte, un paziente confuso ha sorprendenti periodi di lucidità. Questi episodi sono molto significativi per i familiari, ma possono essere interpretati erroneamente come segno di miglioramento. La famiglia deve essere preparata alla possibilità di questi eventi, ma non deve contare sul fatto che accadano.

Negli ultimi giorni, quasi la metà dei malati terminali è in stato di incoscienza per la maggior parte del tempo. Se i familiari credono che il paziente in stato di incoscienza sia comunque in grado di sentire, possono stargli vicino e parlargli. L’atteggiamento di lasciarsi andare durante lo stato di incoscienza è un modo per morire serenamente, soprattutto se il malato e i familiari appaiono sereni e tutto è stato programmato.

Stress

Alcuni soggetti affrontano la morte in uno stato di pace, ma la maggior parte dei malati e delle famiglie vive questo periodo in uno stato di stress. La morte è particolarmente stressante quando i conflitti interpersonali impediscono al malato e ai familiari di condividere gli ultimi momenti in pace. I conflitti possono dare luogo a un eccessivo senso di colpa o all’incapacità di piangere i propri cari e può causare ansia nel malato. Un familiare che si prende cura di un malato terminale a casa può vivere uno stato di stress fisico ed emotivo. Generalmente, lo stress nei malati terminali e nei familiari può essere alleviato lievemente con consulenza o un breve corso di psicoterapia. I servizi sociali potrebbero essere disponibili e aiutare ad alleviare il carico per l’assistente. Ove siano prescritti sedativi all’assistente, questi dovranno essere assunti con parsimonia e per un breve periodo.

Quando un partner muore, chi sopravvive potrebbe farsi prendere dall’ansia legata alle procedure da sbrigare su questioni legali o finanziarie o sulla gestione della casa. Per una coppia di anziani, la morte del coniuge potrebbe rivelare una disfunzione cognitiva nel partner sopravvissuto, che compensava il partner deceduto. Ove si sospetti questo tipo di situazione, amici e famiglia dovrebbero comunicarla all’équipe che si occupa dell’assistenza del malato prima della morte, in modo tale da ottenere le risorse necessarie a prevenire sofferenza e disfunzione.